L'Educazione



L’EDUCAZIONE DEI FIGLI DA PARTE DEI GENITORI
Essere Genitori e crescere i Figli: un compito delicato
Educare un figlio è un compito complesso e delicato perché l’arrivo di un figlio comporta una trasformazione sia per la persona che per la coppia e i suoi equilibri. Provoca felicità, ma anche paure e incertezze.
Ogni persona infatti vive questo momento con i propri timori, aspettative, sogni e convinzioni ed è importante parlarne all’interno della coppia, per trovare insieme un equilibrio nuovo e imparare a cambiare insieme alla vita che cambia.
Ma chi viene in soccorso dei genitori in questo difficile compito?
Non esistono ricette per imparare ad essere "bravi" genitori, tuttavia sono stati effettuati studi psicologici e messi a punto dei modelli che suggeriscono alcuni ingredienti importanti che possono aiutare nell’educazione dei figli.
Occorre precisare che per "educazione" non si intende solo insegnare cose e comportamenti corretti o dare delle regole, ma anche insegnare a vivere, a scegliere e – un giorno – a farcela da soli: affrontare i cambiamenti, le avversità, lo stress ma anche a godere delle piccole gioie della vita.
Rispetto, Qualità, Ascolto, Coerenza e Fiducia
Rispetto. Innanzitutto è importante che ogni genitore abbia un buon rapporto con se stesso, si rispetti e rispetti la persona amata, e che la coppia abbia un buon dialogo e sappia collaborare nell’affrontare le piccole e grandi difficoltà quotidiane.
Qualità. Altra cosa importante è il tempo che si dedica alla famiglia.
Se ritmi e condizioni di oggi molto spesso impediscono di trascorrere una buona quantità di tempo in famiglia, si può sempre curare la qualità del tempo vissuto insieme.
Ascolto e aspettative. Inoltre è fondamentale l’ascolto.
Saper ascoltare aiuta nella comprensione ed evita di far cadere nel "meccanismo delle aspettative": spesso può accadere infatti che i genitori abbiano delle attese dai propri figli o proiettino su di loro i propri sogni. Questo può causare problemi e incomprensioni perché non è detto che un figlio condivida il sogno o il progetto che il genitore ha per lui. Non si dovrebbe pensare di indirizzarlo verso il percorso di studi o il lavoro che si sogna per lui, pretendere che egli faccia il proprio stesso lavoro rilevando, ad esempio, la ditta di famiglia, oppure che faccia quello che noi avremmo voluto ma non abbiamo potuto fare.
E' importante capire il mondo che lo ospita, perché probabilmente sarà diverso da quello in cui siamo cresciuti noi.
Coerenza. Alcuni Psicologici hanno sottolineato l’importanza della coerenza dei messaggi che trasmettiamo ai figli, messaggi espliciti ma anche derivati dai nostri comportamenti.
Renato, per esempio, ogni sabato sera prima che il figlio adolescente esca di casa, insiste con un: «Comportati bene! Non fumare e soprattutto non bere!»«Sì Ba’!», gli risponde svogliato Andrea. Effettivamente il ragazzo non fuma e non beve, ma non accetta di buon grado la norma del padre: non gli sembra la persona giusta per dirgli queste cose, perché tutte le volte che sono in macchina insieme Renato fuma una sigaretta dietro l’altra e quando ha finito lancia mozziconi e pacchetti fuori dal finestrino dell’auto. Il figlio riceve quindi due messaggi contrastanti, riceve per così dire una regola che lo stesso padre trasgredisce.
Non tradire la fiducia. Se vogliamo che nostro figlio non tradisca la nostra fiducia noi per primi non dobbiamo tradirla.
Anche questa è una questione di coerenza. Promettere ai propri figli qualcosa che non siamo sicuri di potergli offrire o garantire in genere produce effetti negativi.
Spiegare e riflettere. Molti esperti sono concordi nell’affermare che non è molto produttivo proibire, ma è più efficace spiegare come mai una cosa andrebbe o non andrebbe fatta.
Riflettere insieme sulle cose è importante soprattutto quando il figlio commette degli errori, non obbedisce o si comporta in modo strano.
Punirlo senza spiegazioni o rinfacciare può provocare sentimenti di disagio e insicurezze nelle future relazioni con gli altri.
Nella vita reale, soprattutto se si è soli a educare un figlio, si può chiedere il sostegno psicologico a un professionista, per superare i momenti critici o semplicemente potersi confrontare sul proprio modello genitoriale e sui vissuti di famiglia, ma la Psicologia non offre solo questo... ci sono corsi dedicati ai genitori, come ad esempio i corsi di formazione "Genitori efficaci".

I COMPORTAMENTI DELLA FAMIGLIA NEL PASSATO

CARATTERISTICHE GENERALI
Da ormai molti decenni gli studiosi di sociologia e gli storici hanno considerato “la famiglia” argomento degno di analisi e di studio.
Nell’antichità e nell’epoca classica la famiglia era basata su regolamenti molto ampli e, come affermato dalla prof.ssa F. Sofia, poteva esserci una sorta di equazione tra il concetto di famiglia (inteso come somma di una struttura abitativa ed i suoi componenti) e quello di economia: l’economia è “domestico-familiare” in quanto dispensatrice di sussistenza che, in molti casi, è di tipo circolare e nasce, si sviluppa e si conclude in se stessa.
Nel 1700, invece, comincia a svilupparsi una trasformazione di tali elementi che condurrà l’economia ad uscire dall’ambito familiare-domestico per unirsi all’ambito del “pubblico” e della “politica”, dando così origine "all’economia politica” retta da elementi legati a dinamiche non più solamente di autolimitazione e di sussistenza.
Non è un caso che per molti, filosofi e pensatori politici in primo luogo, solo il “buon cittadino”, cioè chi è libero dal lavoro e che mantiene se e la propria famiglia, potrà occuparsi di politica risultando un buon patriota.
Gli studi sulla famiglia, inizialmente, videro forti differenziazioni metodologiche tra storici, sociologi e demografi, ma negli ultimi decenni si è assistito ad un riavvicinamento tra questi diversi campi di studio anche se le differenti scuole e correnti di studio hanno prodotto risultati molto discrepanti fra loro, la cui comparazione ed analisi risulta molto interessante e stimolante.

LA FAMIGLIA: LE DEFINIZIONI

Con il termine “famiglia” si è soliti indicare tre differenti e distinte realtà:

a) un gruppo di individui che vivono insieme nella medesima abitazione, le regole con le quali si forma tale gruppo, la sua ampiezza e la sua composizione, le modalità secondo cui si trasforma, si sviluppa e si divide. In questo caso il termine più corretto per indicare tale situazione è “struttura familiare”;

b) i rapporti (affetto, autorità) esistenti in tale gruppo e le dinamiche con le quali i coresidenti sotto il medesimo tetto interagiscono e le emozioni che provano l’uno per l’altro. Il termine più adatto per indicare questa condizione è “relazioni familiari”;

c) i legami ed i rapporti esistenti fra distinti gruppi di coresidenti tra i quali vi siano dei rapporti di parentela e tutto ciò che intercorre fra di loro (aiuto, frequenza degli incontri, ecc.). “Rapporto di parentela” è il termine più esplicito per indicare questa situazione.

Le analisi e gli studi compiuti a riguardo dei tre angoli visivi sopracitati hanno condotto ad affermare che essi sono molto distinti ed indipendenti l’uno dall’altro e che quanto studiato in un singolo ambito non può essere automaticamente esteso agli altri poiché le dinamiche interne sono indipendenti le une dalle altre e conducono ad esiti disomogenei.

EVOLUZIONE DEI RAPPORTI FAMILIARI

Una chiara esemplificazione del mutamento dei rapporti familiari è rappresentato dal seguente brano:

“Sinteticamente si può dire che, secondo i loro autori, la famiglia <<moderna>> è nata da alcune trasformazioni avvenute nelle relazioni di autorità e di affetto esterne ed interne all’unità coniugale elementare. In primo luogo questa si è liberata a poco a poco dai controlli della comunità e della parentela. Vi è stato in secondo luogo il passaggio da un sistema di matrimonio combinato dai genitori mossi esclusivamente da interessi di tipo economico e sociale, ad uno basato sulla libera scelta dei coniugi, sull’attrazione fisica e sull’amore. È mutato in terzo luogo il rapporto fra i coniugi. La tradizionale asimmetria di potere fra marito e moglie si è attenuata (…) la passione erotica ha acquistato una crescente importanza. Infine, sono cambiate le relazioni fra genitori e figli. Per lungo tempo i padri e le madri hanno avuto un atteggiamento di indifferenza verso i figli (…). Con la nascita della famiglia moderna gli atteggiamenti ed i comportamenti dei genitori sono radicalmente cambiati ed i figli sono diventati i destinatari privilegiati delle loro cure e del loro affetto. ” 

Ci proponiamo ora di analizzare in maniera abbastanza schematica i rapporti tra i diversi componenti della famiglia.


Genitori, figli, fratelli

Nelle famiglie di ceto medio-alto e di origine nobiliare le relazioni fra genitori e figli erano basate su principi rigidi e su di una forte verticalizzazione. 
Nel 1700 i giovani nobili si rivolgevano ad entrambi i genitori con il “lei” e tutta la corrispondenza inizia con formule di apertura reverenziali ed anche ogni riferimento al padre ed alla madre era accompagnato da espressioni e sostantivi nobilitanti.
Ai figli i genitori rispondevano utilizzando il “voi” ed evitavano di precisarne il nome preferendo indicarne la condizione di parentela. 


Ogni corrispondenza prevedeva formule di costrizione e di umiliazione dei figli nei confronti dei genitori.
Anche fratelli e sorelle mantenevano rapporti formali utilizzando formule di cortesia e di stampo burocratico allo scopo di mantenere le distanze anche nell’ottica di una possibile diatriba fra fratelli nel momento di divisione dell’eredità che sarebbe stata più acuta e profonda in caso di rapporti fraterni più stretti e più intimi.

Istitutori ecclesiastici e collegi

Le famiglie nobili, come già si è detto, tenevano fortemente divisi i genitori dai figli ed il tempo dedicato dai primi ai secondi era molto poco. I figli venivano vissuti e percepiti come un peso, come un elemento di contorno per la propria vita intima e che si ponevano in un’ottica di importanza dinastica e patrimoniale più che personale e che, quindi, potevano benissimo essere affidati a mani estranee soprattutto per quanto riguarda la loro educazione che veniva esercitata da maestri e precettori soprattutto di estrazione ecclesiastica.

È proprio svolgendo questa attività di insegnamento in una casa ricca e nobile che Giuseppe Parini poté analizzare e descrivere ironicamente le abitudini e l’inutilità del “Giovin Signore” definito come colui che “tutti servon e che a nullo serve”.

A metà del 1700 calò il grado di rigidità di tali rapporti, ma la figura del precettore rimase predominante e dominante per l’educazione dei giovani, anche se cominciò ad essere sempre più importante fu il ruolo dei collegi che, creati dai Gesuiti, ebbero la funzione di omogeneizzare i giovani nobili ai principi della Controriforma cattolica: erano istituzioni totalizzanti con il chiaro compito di controllare ed organizzare la vita di questa piccola elités di giovani che risultavano così essere chiaramente inquadrati nei principi e negli schemi controriformisti.

Così facendo i Gesuiti avevano conquistato il controllo sul futuro della classe dominante dell’epoca potendo avere un’egemonia sulla maggior parte della nobiltà e, quindi, sull’intera società.

I coniugi

A partire dal 1500 i rapporti tra coniugi, parallelamente a quelli fra fratelli e sorelle, subirono profondi e significativi mutamenti: si passò da forme completamente e sempre referenziali (uso del “lei” e del “voi”) sia nella fase prematrimoniale, sia in quella post-nozze, all’uso di forme burocratiche nella sola fase precedente al connubio: dopo il matrimonio tali espressioni lasciavano il posto a termini ed allocuzioni meno auliche che segnavano quella visione più intima del matrimonio che, nella seconda metà del 1800, vedrà il comparire del “tu”, simbolo di un passaggio ad un matrimonio più fortemente basato su intimità e legame affettivo reciproci.
Si passa, quindi da una famiglia verticistica in cui il padre è padrone e tiranno e che basa la propria autorità ed il proprio potere, per usare una classificazione di tipo weberiano, su elementi di carattere tradizionale e/o carismatico, ad un potere basato, sempre per dirla con Weber, su dinamiche razionali: non siamo più di fronte al Patriarca di Filmer, ma al capofamiglia.
I matrimoni sono frutto di scelte personali e non solo di ragioni dinastiche e maggiormente basati sulle persone che lo compongono che sulla posizione da esse ricoperta.

La strada verso l’emancipazione della moglie e dei figli è aperta, ma molti passi restano ancora da compiere.

GLI STILI EDUCATIVI OGGI RISPETTO AL PASSATO
LO STILE EDUCATIVO
E’ definito come quell’insieme di atteggiamenti che il padre e la madre manifestano nei confronti dei figli e che, considerati globalmente, creano il clima emotivo nel quale i genitori attuano i propri comportamenti specifici, volti ad ottenere determinati risultati educativi.
Due importanti variabili definiscono lo stile educativo:
- controllo
- supporto
controllo = le richieste che i genitori fanno ai figli per integrarli nella famiglia e nella società, sollecitando comportamenti maturi, esercitando controllo e supervisione.
Supporto = le azioni finalizzate a favorire l’individualità, l’autoregolazione e l’individualità, l’autoregolazione e l’affermazione di sé attraverso espressioni di sostegno e calore (vicinanza affettiva) e disponibilità a soddisfare bisogni e richieste del figlio.
A secondo di come si miscelano le due variabili si ottengono degli stili educativi. Alcuni esempi di stili educativi-
4 stili educativi
1. STILE AUTORITARIO = alto controllo e basso supporto. Si da importanza all’ubbidienza, al rispetto delle regole, non si scende a compromessi e non si spiegano le regole, ricorrendo anche a metodi coercitivi.
2. STILE AUTOREVOLE = alto controllo e alto supporto. Volendo quantificare è lo stile migliore. I genitori autorevoli valorizzano l’indipendenza, giustificano le loro richieste e utilizzano metodi disciplinari non punitivi; valorizzano l’autonomia a fanno anche valere l’autorità rinforzando in modo coerente le regole e aspettandosi comportamenti maturi e responsabili.
3. STILE INDULGENTE PERMISSIVO = alto supporto basso controllo. Molto tollerante poche punizioni, ma c’è in genere ansia da parte del figlio. I genitori permissivi pretendono raramente dai figli comportamenti responsabili e spesso non esercitano su di loro né controllo né autorità.
4. STILE NEGLIGENTE = basso controllo basso supporto. I genitori negligenti sono quelli che per vari motivi non sono in grado di fornire ai figli una base sicura e quel punto di riferimento di cui hanno bisogno in tutto l’arco evolutivo.

L’educazione nell’Impero Romano
L'educazione nell'antica Roma nell'età imperiale era in genere affidata alla madre che guidava i figli seguendoli almeno Nell'epoca repubblicana invece, appaiono testimonianze che affermano che l'educazione dei figli doveva essere compito del padre così come si vantava di averla praticata Catone il Censore (234 a.C. circa–149 a.C.) insegnando ai propri figli a leggere e scrivere, a nuotare e combattere. sino a quando qNell'età imperiale, non appena i figli acquistavano una certa autonomia, le madri che godessero di una certa ricchezza li affidavano a caro prezzo a un pedagogo famoso. Le povere, invece, mandavano i loro figlioli in una di quelle scuole private che abbondavano a Roma verso la fine del II secolo a.C.[4]
Plinio il Giovane considerava funesta per i severi costumi romani l'abitudine delle madri di rinunciare all'educazione dei loro figlioli proprio quando i giovani avevano più bisogno di una guida. Plinio, soprattutto riteneva che questo comportamento delle donne romane avrebbe accresciuto il loro vivere oziosamente rischiando così che alcune di loro passassero dalla noia alla dissolutezza. La scuola primaria, che avrebbe dovuto porre le basi per il migliore sviluppo dei fanciulli, si svolgeva in condizioni precarie: iniziava all'alba, in un piccolo locale separato dai traffici e dai rumori della strada da una semplice tenda. Il mobilio consisteva in una cattedra per il maestro, banchi o sgabelli per gli alunni, una lavagna e qualche abaco. Le lezioni terminavano a mezzogiorno e i soli periodi di vacanza per sfuggire alla monotonia e alla noia erano le nundinae, i Quinquatrus e le vacanze estive.
Il maestro si limitava all'insegnamento della lettura, della scrittura e a far di conto. Il metodo seguito era quanto di più meccanico e laborioso per gli alunni che per imparare a leggere dovevano prima mandare a memoria l'ordine e il nome delle lettere, successivamente riconoscere quale era la loro forma e infine mettere assieme sillabe e parole[14]. Altrettanto faticosamente avveniva per la scrittura: gli alunni dovevano copiare un modello aiutati dal maestro che, tenendo nella sua la mano dell'allievo, gli faceva eseguire i movimenti necessari per riprodurlo. Era un sistema inutilmente macchinoso e irrazionale, che sembrava fatto apposta per prolungare il tempo necessario per l'apprendimento elementare che in effetti durava diversi anni.
Anche per imparare a eseguire calcoli elementari gli alunni trascorrevano molto tempo a fare conti con le dita delle mani: per calcolare le decine, le centinaia e le migliaia imparavano a spostare i sassolini (calculi) degli abachi.
Gli imperatori del II secolo d.C., come Adriano, favorirono la diffusione dell'insegnamento elementare fin nelle lontane regioni dell'impero convincendo i maestri ad esercitare il loro insegnamento esentandoli dal pagamento delle tasse.
Il metodo d'insegnamento, limitato e meccanico, continuò nel tempo ad essere quello tradizionale, cosicché un analfabetismo di ritorno era usuale nelle classi più povere della popolazione come notava Vegezio riguardo ai soldati incapaci di tenere una minima contabilità della legione.
Durante il II secolo a.C., quando Roma iniziò a dominare sulla Grecia, ci si rese conto della inferiore educazione dei governanti romani nei confronti dei loro sudditi. Si favorì allora in Roma la fondazione di scuole che permettessero una formazione culturale simile a quella dei greci che, poiché permetteva l'ascesa al potere politico tramite l'eloquenza, che dominava le assemblee, si volle limitare alla classe più elevata. L'insegnamento della retorica continuò ad essere riservato a pochi anche se era impartito oltre che in greco anche in latino.
Col decadimento del libero dibattito politico nell'età imperiale, anche la retorica perse ogni reale contenuto divenendo esercizio di astratta eloquenza. Dall'insegnamento della retorica vennero allontanate quelle dottrine che erano sempre state accomunate ad essa come la filosofia e le scienze matematiche e naturali che pure gli imperatori Traiano e Adriano continuavano a sostenere nel Museo di Alessandria e ad Atene.
In vero nel centro del potere, a Roma, già da tempo il dibattito filosofico pubblico era stato proibito dal senato nel 161 a.C. e considerato politicamente pericoloso ancora nel 153 a.C. quando, senza tener conto della loro immunità diplomatica, furono cacciati i filosofi Carneade, Critolao e Diogene. Una politica intellettuale antifilosofica questa che era stata ribadita da Vespasiano , che pure concedeva privilegi ai retori e ai grammatici.
Nonostante, quindi, che le scuole preparatorie di grammatica e retorica fossero frequentate da numerosi giovani provenienti da famiglie agiate e che gli stessi imperatori ne fossero patrocinatori, l'insegnamento dell'eloquenza fu caratterizzato da uno sterile formalismo.
Il grammaticus iniziava la sua lezione con la spiegazione (explanatio) dell'opera classica in esame enumerando meccanicamente le figure retoriche comprese nel testo: a questo seguiva l'emendatio una critica formale del testo e alla fine l'enarrato un giudizio complessivo dell'opera in esame.
Da tutto questo le arti liberali non entravano che di straforo senza nessun approfondimento. Mitologia, musica, geografia, storia, astronomia, matematica erano richiamate solo per una comprensione del testo in esame. I romani non concepivano per il loro senso pratico che si potessero studiare disinteressatamente quelle discipline che potevano conoscere belle e fatte nei libri senza sentire la necessità di svilupparle o controllarle.
Quando si giudicava che l'allievo avesse raggiunto un'adeguata preparazione, questi poteva dare prova in pubblico delle sue qualità di orator nelle causae dove esaminava particolari casi di coscienza (suasoriae) o nelle arringhe (controversiae), espressioni di un'eloquenza del tutto artificiosa e lontana dalla realtà, ridotta a pure declamationes.
Questo insegnamento, lontano dalla vita reale e chiuso in un gretto classicismo, distaccò sempre più i giovani disgustati dall'astrattezza di una scuola di cui si prendevano gioco pensando solo a soddisfare i loro immediati bisogni reali.


   2  AFM Istituto Tecnico Coommerciale "De Felice Giuffrida" di Catania
                                                                                 Laò Gabriele
                                                                                 Spampinato M. Grazia
                                                                                 Ventimiglia Andrea

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