Famìglia s. f. [lat. famĭlia, che
(come famŭlus «servitore, domestico», da cui deriva) è voce italica e indicò
dapprima l’insieme degli schiavi e dei servi viventi sotto uno stesso tetto, e
successivamente la famiglia nel significato oggi più comune].
In senso ampio, comunità umana,
diversamente caratterizzata nelle varie situazioni storiche e geografiche, ma
in genere formata da persone legate fra loro da un rapporto di convivenza, di
parentela, di affinità, che costituisce l’elemento fondamentale di ogni
società, essendo essa finalizzata, nei suoi processi e nelle sue relazioni,
alla perpetuazione della specie mediante la riproduzione (con sign. simile, il
termine è spesso esteso anche al mondo animale)
La
famiglia era il nucleo più importante della società romana. Essa era soggetta
alla potestas del pater familias . All’origine della famiglia vi era l’unione tra
l’uomo e la donna, ritenuto il legame fondamentale, poiché assicurava la
sopravvivenza delle famiglie che discendevano da un antenato comune. La
famiglia romana non era istituzione privata ma pubblica. Sposarsi e generare
figli era un obbligo sociale. Tutto si compiva all’ interno della famiglia: le
nascite, l’ istruzione dei figli, le cerimonie religiose, le attività
economiche.
Di conseguenza, la struttura della famiglia si
rifletteva nella struttura della società.
Il
marito aveva tutti i poteri , la potestas, sui beni e sulle persone della
famiglia. Soltanto lui poteva comprare e vendere , lui si occupava in prima
persona dell’ educazione dei figli , lui compiva i sacrifici ed era la guida
nelle cerimonie religiose , in onore delle divinità del focolare, cioè della
domus.
Qualora
la moglie l’avesse tradito, o gli avesse rubato il vino nella botte , egli
poteva ucciderla, senza dover subire un processo. Comunque , il diritto romano
prevedeva il divorzio , in caso d’adulterio. Anche l’ uomo poteva essere
considerato un adultero , se tradiva la moglie con un’altra donna sposata. In
tal caso, l’uomo non era condannabile per aver tradito la moglie, ma per aver
avuto un legame con la moglie di un altro uomo libero. Il pater familias poteva
avere relazioni extraconiugali , liberamente , con schiave e donne libere da
legami .Inoltre , l’ autorità paterna era tale da consentirgli di vendere i
figli come schiavi , se lo avesse ritenuto necessario. I figli maschi e femmine
erano del tutto sottomessi dal padre. Le donne, però, quando si sposavano
passavano sotto l’autorità del marito.
Accanto al pater familias ,
c’è la mater familias, cioè la donna che dava al marito dei figli legittimi.
Quando una giovane si sposava, diventava mater familias, un'espressione che
indicava la dignità della donna romana nella sua funzione di madre. Quando la
mater familias diventava madre , veniva chiamata domina. La mater familias
dirigeva il lavoro degli schiavi all’ interno della casa e il suo compito
principale era quello di tessere la lana e confezionare abiti per sé e per i
membri della famiglia.
La
famiglia greca
A
partire dalla civiltà greca, e poi in quella romana, la famiglia viene intesa come un aggregato
naturale che coincide con la «casa»
quale doppia unione, di un uomo e una
donna e tra padrone e schiavo .Essa è la
cellula del villaggio (che coincide con la
gens o tribù), il quale è retto dal più anziano dei capifamiglia; a loro volta, più villaggi,
unendosi tra loro, formano la città
(polis). Gli antichi: Grecia classica e romani .Le differenze tra Grecia classica e Roma non sono di poco conto: nella prima la famiglia è sfera
«privata» (di minor valore) più di
quanto non lo sia per Roma. La cultura romana presenta una maggior pubblicizzazione
della
famiglia.Ma in entrambi i casi l’autorità è patriarcale e la discendenza
patrilineare. A Roma la forma familiare più comune è quella agnatica, cioè
definita da una comune discendenza da uno stesso antenato.
La
famiglia Medievale
Le famiglie si formavano generalmente tra persone
che appartenevano alla stessa contrada o a contrade vicine tra loro: molto rari
erano i matrimoni tra persone appartenenti ad altre città o al contado (questo
tipo di matrimoni era caso mai più probabile tra le famiglie nobili). In una
società accentrata intorno alla famiglia qual era quella del Basso Medioevo il
matrimonio assumeva un'importanza fondamentale. Alleanza tra famiglie,
prima che unione fra singoli, era subordinato a considerazioni di natura
economica, sociale e politica che lasciavano poco spazio ai sentimenti
personali. Il matrimonio, sia tra i nobili che tra i semplici cittadini, era,
infatti, considerato alla stregua di un contratto, quasi sempre combinato dai
familiari degli sposi e non dagli sposi. Nei ceti sociali più elevati, e non
solo, il matrimonio aveva come scopo quello di stabilire una nuova alleanza, o
di consolidarne una vecchia, tra due famiglie. Attraverso il matrimonio si
stringevano amicizie, si rinsaldavano rapporti di lavoro o si metteva fine a vecchi contrasti. E se lo
sposo aveva qualche voce in capitolo - la decisione finale spettava a lui -
alla sposa non era concessa alcuna decisione in merito.
L’esistenza stessa della dote, un concreto pegno
materiale dell’alleanza, ne faceva essenzialmente un affare, e, come tale,
coinvolgeva le famiglie dei due sposi. Non di rado anche intervenivano appositi
mediatori.
La
famiglia moderna nei secoli Moderni: 1800
& 1900
La famiglia è l'istituzione fondamentale in
ogni società umana, fondata
sul matrimonio o la convivenza, con i
caratteri della esclusività, della stabilità e della responsabilità, attraverso
la quale la società stessa si riproduce e perpetua, sia sul piano biologico, sia su quello culturale.
Esistono cinque tipi di famiglie, ormai
utilizzate da tutti i sociologi:
·
Nucleare è una
famiglia formata da una sola unità coniugale;
·
Estesa è una
famiglia formata da una sola unità coniugale e uno o più parenti conviventi;
·
Multipla è una famiglia formata da due o più unità
coniugali;
·
Senza
struttura coniugale è una famiglia priva di un'unità coniugale (vi sono persone
che convivono);
·
Solitario è
una famiglia formata da una sola persona.
In sociologia si
classificano tre tipi di famiglie, composte da membri che vivono insieme:
·
Monogama, quando vi
sono solo due genitori (la più diffusa, soprattutto in aree urbane)
·
Poliginica, quando non
vi è una distinzione tra la genitrice naturale e le altre donne appartenenti al
proprio gruppo parentale e un solo padre
·
Poliandrica, quando non
vi è una distinzione tra il genitore naturale e gli altri uomini appartenenti
al gruppo parentale e una sola madre
·
Poliginandrica, o del matrimonio di gruppo, quando vi sono più madri e padri conviventi
·
Consanguinea, sinonimo
di famiglia estesa, composta dai genitori, dalle loro famiglie di origine e dai
loro discendenti
·
Monogenitoriale, composta da un solo genitore e dai suoi figli,
generati o adottati.
·
Omogenitoriale, quando i genitori sono dello stesso
sesso.
Storicamente, si è passati dalla famiglia patriarcale, in cui
convivevano, in forma allargata, varie generazioni e livelli(nonni, zii,
genitori, figli, nipoti), tipica di un ambiente socio-economico di carattere
quasi esclusivamente agricolo (ancora presente nella prima metà del 900), ad
una famiglia nucleare, composta esclusivamente da genitori e figli,
caratteristica di una società proiettata verso alti livelli di consumismo,
nella quale lavorano entrambi i genitori sia per esigenze di stretto carattere
economico sia perché la donna, al termine di una lunga e tormentata fase di
emancipazione, ricerca un suo specifico ruolo sociale che la sostenga nelle sue
aspirazioni di realizzazione sul piano personale Si è detto che le donne, in
particolare, hanno progressivamente conquistato specifici ruoli sociali, anche
in termini di particolari responsabilità nel mondo del lavoro, e ciò le
costringe a non essere più mamme e mogli a tempo pieno d'altro canto, a parte
la necessità che in una famiglia entrino a fine mese almeno due stipendi per
vivere con un certo margine di sicurezza e di decoro, è pure impensabile che
una donna si trovi in una condizione di subalternità nei confronti del marito,
l'unico a guadagnare. In caso di separazione, infatti, una donna può ritrovarsi
da sola, senza adeguati mezzi di sussistenza e oltre tutto, con i figli da
mantenere. In una situazione di normalità, i figli, da parte loro, hanno ormai
le giornate piene di impegni: oltre alla scuola, seguono tante altre attività
che li impegnano praticamente per tutta la giornata.
Pater familia
Era il custode delle memorie degli antenati,l'unico che poteva disporre del patrimonio della ' ' gens ' ' (bestiame, casa, schiavitù, campi)
Così si poteva considerare il capo famiglia nell'antica Roma. A lui erano sottomessi la moglie, i figli, gli schiavi, le nuore. Su tutti costoro egli aveva la patria potestas, potere che comportava amplissime facoltà insieme ad un potere punitivo che si estendeva fino al diritto di vita o di morte, come a quello di venderlo come schiavo.
Dalle varie fonti pare che i poteri espressi nelle XII tavole si potessero schematizzare in una serie di diritti:
1. Il ius exponendi, che conferiva al padre la facoltà di abbandonare il figlio alla nascita in un luogo pubblico;
2. Il diritto di vendere i figli;
3. Il ius noxae dandi (diritto di dare a nossa), che concedeva al padre di consegnare il figlio o lo schiavo colpevole di un illecito verso un terzo per liberarsi della responsabilità o come garanzie per il pagamento di un debito.
Il padre che uccide legittimamente il figlio divenne man mano un caso sempre più raro, sottoposto spesso a regole e a limitazioni, e comunque sempre sotto un controllo sociale che poteva essere quello dei vicini o quello di un apposito "tribunale domestico", composto da vari parenti. Adriano fece deportare un padre colpevole di aver ucciso il figlio adultero con la matrigna, sottolineando il nuovo aspetto di uno Stato che si vuole riservare in via esclusiva il diritto di vita e di morte sui suoi sudditi.
Da un punto di vista strettamente giuridico, tutti coloro che erano assoggettati alla patria potestas erano considerati la longa manus del pater. Infatti tutto ciò che veniva acquistato dai figli o dagli schiavi ricadeva automaticamente nella sfera giuridica del pater familias. Tale principio era ancora vigente all'epoca del giurista romano Gaio, secondo cui:
G.2.87 «..quod liberi nostri quos in potestate habemus mancipio accipiunt vel ex traditione nanciscuntur...vel ex alia qualibet causa adquiruntur;, id nobis adquiritur; ipse enim, qui in potestate nostra habemus, nihil suum habere potest» Tutto ciò che i figli che abbiamo in nostra potestas acquistano tramite mancipatio o traditio, o per altra qualsivoglia causa, è acquistato da noi; infatti chi è sotto la nostra potestas non può avere nulla di suo.
La parola italiana famiglia deriva dal latino familia, letteralmente l’insieme dei famuli, coloro che hanno un rapporto di dipendenza dal capo famiglia, il paterfamilias.
In epoca arcaica, nel concetto latino di familia si sovrapponevano e convivevano la familia proprio iure e la familia domestica. La prima non era basata sulla parentela, ma su vincoli di tipo politico-economico e religioso; la seconda si fondava sulla consanguineità. Il pater familias era il capo assoluto di entrambe. Egli disponeva, come di cose di sua proprietà, non solo dei beni e dei servi, ma anche della moglie e dei figli.
Più tardi, la familia perse importanza come entità politica e divenne patriarcale, con più generazioni di consanguinei sotto lo stesso tetto. Il potere del pater familias sui familiari fu limitato per legge. Per familia s'intendeva allora l'insieme degli schiavi che appartenevano allo stesso proprietario.
Durante il Medioevo l'influenza del Cristianesimo e il sacramento del matrimonio mutarono sia la struttura della famiglia che il significato della parola.
La coniunctio sanguinis
Nel II secolo la condizione della familia è profondamente mutata: il diritto gentilizio è caduto in disuso e poco o nulla rimane del potere del pater della famiglia patriarcale antica.Già alla fine del periodo repubblicano alla madre è riconosciuto il diritto di essere rispettata dai figli e di poter esercitare su questi la custodia o la tutela nel caso di marito indegno.
Ora nella famiglia prevale la coniunctio sanguinis che costituisce un legame naturale tra i membri che la compongono tale che nasca tra loro benevolenza e amore reciproco:
« ...et benevolentia devincit homines et charitate. »
Dei poteri del pater familias rimane tuttavia sino al 374 il diritto di esporre i neonati nelle discariche dove il più delle volte muoiono per fame o freddo a meno che non li raccolga un passante impietosito. Questa forma di infanticidio legale era praticata per lo più dai poveri e da quanti si volevano liberare soprattutto dei figli illegittimi (spurii) e delle figlie.
Nel periodo imperiale tuttavia una volta che si sia rinunciato allo ius exponendi non ci si potrà più sbarazzare dei figli né con la mancipatio (che permane, ma solo come finzione legale - quaedam imaginaria venditio, una sorta di vendita immaginaria, fittizia - diretta alla loro emancipazione), vendendoli come servi o con la loro uccisione che è ora considerata delitto gravissimo. Prima ancora che Costantino equipari il parricidio all'omicidio del figlio, già l'imperatore Adriano condannava alla deportazione un padre che aveva ucciso un figlio che lo aveva disonorato seducendo la sua seconda moglie.Così Traiano costringe un padre alla emancipazione immediata del figlio che aveva semplicemente maltrattato e lo obbliga a rinunciare a ogni eventuale diritto di successione in caso di morte del figlio.
Era il custode delle memorie degli antenati,l'unico che poteva disporre del patrimonio della ' ' gens ' ' (bestiame, casa, schiavitù, campi)
Così si poteva considerare il capo famiglia nell'antica Roma. A lui erano sottomessi la moglie, i figli, gli schiavi, le nuore. Su tutti costoro egli aveva la patria potestas, potere che comportava amplissime facoltà insieme ad un potere punitivo che si estendeva fino al diritto di vita o di morte, come a quello di venderlo come schiavo.
Dalle varie fonti pare che i poteri espressi nelle XII tavole si potessero schematizzare in una serie di diritti:
1. Il ius exponendi, che conferiva al padre la facoltà di abbandonare il figlio alla nascita in un luogo pubblico;
2. Il diritto di vendere i figli;
3. Il ius noxae dandi (diritto di dare a nossa), che concedeva al padre di consegnare il figlio o lo schiavo colpevole di un illecito verso un terzo per liberarsi della responsabilità o come garanzie per il pagamento di un debito.
Il padre che uccide legittimamente il figlio divenne man mano un caso sempre più raro, sottoposto spesso a regole e a limitazioni, e comunque sempre sotto un controllo sociale che poteva essere quello dei vicini o quello di un apposito "tribunale domestico", composto da vari parenti. Adriano fece deportare un padre colpevole di aver ucciso il figlio adultero con la matrigna, sottolineando il nuovo aspetto di uno Stato che si vuole riservare in via esclusiva il diritto di vita e di morte sui suoi sudditi.
Da un punto di vista strettamente giuridico, tutti coloro che erano assoggettati alla patria potestas erano considerati la longa manus del pater. Infatti tutto ciò che veniva acquistato dai figli o dagli schiavi ricadeva automaticamente nella sfera giuridica del pater familias. Tale principio era ancora vigente all'epoca del giurista romano Gaio, secondo cui:
G.2.87 «..quod liberi nostri quos in potestate habemus mancipio accipiunt vel ex traditione nanciscuntur...vel ex alia qualibet causa adquiruntur;, id nobis adquiritur; ipse enim, qui in potestate nostra habemus, nihil suum habere potest» Tutto ciò che i figli che abbiamo in nostra potestas acquistano tramite mancipatio o traditio, o per altra qualsivoglia causa, è acquistato da noi; infatti chi è sotto la nostra potestas non può avere nulla di suo.
La parola italiana famiglia deriva dal latino familia, letteralmente l’insieme dei famuli, coloro che hanno un rapporto di dipendenza dal capo famiglia, il paterfamilias.
In epoca arcaica, nel concetto latino di familia si sovrapponevano e convivevano la familia proprio iure e la familia domestica. La prima non era basata sulla parentela, ma su vincoli di tipo politico-economico e religioso; la seconda si fondava sulla consanguineità. Il pater familias era il capo assoluto di entrambe. Egli disponeva, come di cose di sua proprietà, non solo dei beni e dei servi, ma anche della moglie e dei figli.
Più tardi, la familia perse importanza come entità politica e divenne patriarcale, con più generazioni di consanguinei sotto lo stesso tetto. Il potere del pater familias sui familiari fu limitato per legge. Per familia s'intendeva allora l'insieme degli schiavi che appartenevano allo stesso proprietario.
Durante il Medioevo l'influenza del Cristianesimo e il sacramento del matrimonio mutarono sia la struttura della famiglia che il significato della parola.
La coniunctio sanguinis
Nel II secolo la condizione della familia è profondamente mutata: il diritto gentilizio è caduto in disuso e poco o nulla rimane del potere del pater della famiglia patriarcale antica.Già alla fine del periodo repubblicano alla madre è riconosciuto il diritto di essere rispettata dai figli e di poter esercitare su questi la custodia o la tutela nel caso di marito indegno.
Ora nella famiglia prevale la coniunctio sanguinis che costituisce un legame naturale tra i membri che la compongono tale che nasca tra loro benevolenza e amore reciproco:
« ...et benevolentia devincit homines et charitate. »
Dei poteri del pater familias rimane tuttavia sino al 374 il diritto di esporre i neonati nelle discariche dove il più delle volte muoiono per fame o freddo a meno che non li raccolga un passante impietosito. Questa forma di infanticidio legale era praticata per lo più dai poveri e da quanti si volevano liberare soprattutto dei figli illegittimi (spurii) e delle figlie.
Nel periodo imperiale tuttavia una volta che si sia rinunciato allo ius exponendi non ci si potrà più sbarazzare dei figli né con la mancipatio (che permane, ma solo come finzione legale - quaedam imaginaria venditio, una sorta di vendita immaginaria, fittizia - diretta alla loro emancipazione), vendendoli come servi o con la loro uccisione che è ora considerata delitto gravissimo. Prima ancora che Costantino equipari il parricidio all'omicidio del figlio, già l'imperatore Adriano condannava alla deportazione un padre che aveva ucciso un figlio che lo aveva disonorato seducendo la sua seconda moglie.Così Traiano costringe un padre alla emancipazione immediata del figlio che aveva semplicemente maltrattato e lo obbliga a rinunciare a ogni eventuale diritto di successione in caso di morte del figlio.
Il complesso dell’amore romantico
Nulla sembra più lontano dalla cultura e dalle
rappresentazioni sociali contemporanee del matrimonio legato a delle strategie
familiari. Dai cosiddetti matrimoni di convenienza in Occidente ci si è evoluti
al matrimonio di relazione dove la centralità ideologica fondante e quella del
sentimento d’amore e la sua continuità. Nelle società occidentali contemporanee
la mancanza d’amore in un matrimonio è un’aberrazione; perciò gli individui
vengono socializzati a innamorarsi e a farsi guidare da questo sentimento nella
scelta del coniuge.
“L’amore
romantico, la legittimazione del matrimonio fondata sull’amore, dopo aver
rafforzato la coppia rispetto alla parentela, ha posto anche le basi per
l’indebolimento del matrimonio come istituzione che dura tutta la vita e da cui
si può uscire solo con la morte: non tanto, come si ritiene comunemente, perché
ha affidato la sopravvivenza della coppia al perdurare dell’amore, quanto per
quel germe di eguaglianza che il rapporto d’amore contiene. Incontrandosi con
le trasformazioni del costume e soprattutto con l’emancipazione femminile, esso
darà luogo ad ancora un nuovo modello di matrimonio: non più fusionale, ma
piuttosto negoziale, un rapporto in cui l’autonomia è un valore e la base
stessa dell’intimità di coppia. (Giddens, 1995)
L’equità
matrimoniale:
Un
fattore che influenza significativamente il destino di un matrimonio è l’equità
coniugale. Secondo una teoria, detta teoria dello scambio, il matrimonio è un
accordo in cui ogni partener dà all’altro qualcosa di utile, qualcosa che
l’altro otterrebbe difficilmente da solo. Il matrimonio diventa stabile e
felice quando entrambi i partner considerano lo scambio equo. In molti
matrimoni moderni l’equità desiderata è quella che comporta la condivisione di
compiti simili, ci si aspetta che entrambi facciano entrambe le cose
(guadagnare & lavori domestici). Analogamente, entrambi i coniugi si
aspettano sensibilità ai loro bisogni ed equità riguardo la dipendenza, al
desiderio sessuale, alla condivisione di confidenze e così via. L’equità non è
facile da raggiungere o mantenere, molti fattori – tra cui l’arrivo dei figli o
se uno dei due partner consegue uno status professionale maggiore – modificano
l’equilibrio, rendendo il matrimonio meno paritario e, di solito, meno felice.
Nelle famiglie complesse la nuora
viveva in una condizione di completa sottomissione nei confronti della suocera
che aveva la supremazia su tutte le donne di casa. La guida della famiglia
spettava al padre al quale tutti dovevano la più completa e totale obbedienza.
In caso di suo decesso gli subentrava il figlio più anziano. Era il
capofamiglia (detto capoccia) che dirigeva ed organizzava la vita di tutta la
comunità familiare e che deteneva il portafoglio di casa che, però, era
direttamente ed operativamente gestito dalla moglie che doveva sempre rendere
conto al capofamiglia di ogni entrata e di ogni uscita. I momenti di massima
socializzazione sono i pranzi quando i genitori svolgono anche una funzione
educativa nei confronti dei figli.
I lavori domestici spettavano interamente alle donne a cui spettava anche il compito di occuparsi dell’igiene personale e della pulizia degli abiti del marito. Nelle famiglie nucleari borghesi e cittadine, invece, non era raro che fosse il marito stesso ad occuparsi della propria igiene personale e della pulizia dei propri capi d’abbigliamento. Inoltre nelle famiglie urbane vi era una minore intrusione della comunità nella vita coniugale e le stesse relazioni intime erano più strette in presenza di minori distanze sociali che portarono ben presto al passaggio dal “lei-voi” ad un più confidenziale “tu”. Grazie ad una sorta di processo di osmosi tali innovazioni si diffusero anche nelle tradizionali famiglie patriarcali estese e contribuirono all’inizio del processo di superamento verso famiglie basate sul modello nucleare oppure, più semplicemente, ne modificarono le strutture e le relazioni interne in un’ottica più simile a quella delle già citate
I lavori domestici spettavano interamente alle donne a cui spettava anche il compito di occuparsi dell’igiene personale e della pulizia degli abiti del marito. Nelle famiglie nucleari borghesi e cittadine, invece, non era raro che fosse il marito stesso ad occuparsi della propria igiene personale e della pulizia dei propri capi d’abbigliamento. Inoltre nelle famiglie urbane vi era una minore intrusione della comunità nella vita coniugale e le stesse relazioni intime erano più strette in presenza di minori distanze sociali che portarono ben presto al passaggio dal “lei-voi” ad un più confidenziale “tu”. Grazie ad una sorta di processo di osmosi tali innovazioni si diffusero anche nelle tradizionali famiglie patriarcali estese e contribuirono all’inizio del processo di superamento verso famiglie basate sul modello nucleare oppure, più semplicemente, ne modificarono le strutture e le relazioni interne in un’ottica più simile a quella delle già citate
Nella Roma arcaica , il pater familias aveva dei
privilegi relativi al fatto che era titolare dei propri beni, a differenza
della donna, che, come i figli, non poteva possedere qualcosa di proprio. la
donna era del tutto esclusa dai diritti politici anche per esercitare i diritti
civili aveva bisogno del consenso di un tutore, di un uomo che esercitasse su
di lei la tutela: questi era il padre, poi il marito, e all'eventuale morte del
marito, il parente ,maschio più prossimo. le donne svolgevano prevalentemente
lavori domestici, a lei era affidata la prima educazione del bambino, il
primissimo insegnamento orale. era la donna che formava i figli sul piano
morale e comportamentale, affiancata dai parenti: nonni e nonne, zie e zii.
Nella Roma arcaia una figlia ancora giovanissima
poteva essere promessa in sposa o fidanzata a un giovane anche contro la
propria volontà e questo rito era giuridicamente valido. i motivi dei matrimoni
erano sempre di natura economica , dall' altra parte però i romani si sposavano
soprattutto per garantirsi una discendenza inoltre si pretendeva che le ragazze
arrivassero vergini al matrimonio.le donne non avevano il permesso di
divorziare, mentre i mariti potevano solo in taluni casi: tentavo
avvelenamento, uso di chiavi false, adulterio. le donne dopo il matrimonio
dovevano tentare almeno tre gravidanze, altrimenti ogni lascito ereditario
finisce in mano ai parenti paterni o allo stato e si resta per tutta la vita
sotto l' amministrazione di un tutore. l'adulterio era considerato reato solo
se commesso dalla donna, a causa di questo era anche prevista la pena di morte
se il pater familias lo riteneva necessario.
Negli ultimi decenni vi sono state delle ulteriori e profonde
modificazioni nella società e nelle strutture familiari, e hanno fatto la loro
comparsa altri tipi di famiglia: la famiglia monoparentale, composta da un solo
genitore, celibe, vedovo o divorziato, con uno più figli; la famiglia
ricomposta, che può essere formata in diversi modi: genitori affidatari con figlio/i;
coppia di genitori divorziati, risposati o semplicemente conviventi, con figli
di uno o di entrambi i “partners” (l’unione di fatto); la famiglia omosessuale,
alla quale diversi stati europei hanno di fatto già esteso alcuni dei diritti
precedentemente riconosciuti solo alle coppie eterosessuali.
LA DONNA ROMANA
La sproporzione
tra maschi e femmine derivava da un lato dall'ingiustizia sociale che preferiva
aiutare i maschi anziché le femmine, e
poi dall'uccisione delle neonate, per l'antichissima usanza della pubblica
esposizione. Con l'avvento del patriarcato le donne non possono combattere, e
pertanto sono di peso e vanno eliminate, o tenute quel tanto che serve per
procreare. Nel duro passaggio dalla libertà delle donne sabine alla semischiavitù
romana, i Romani ebbero la meglio e le leggi sabine che proteggevano le donne
scomparvero.
Ne lasciarono però un'impronta, perchè le donne romane non furono totalmente schiave come le Greche, segregate come in cella nel gineceo senza alcun diritto. Anzi rispetto alle donne barbare erano privilegiate. Un'altra impronta la lasciarono gli Etruschi, dove le donne erano nei diritti quasi uguali agli uomini.
Ne lasciarono però un'impronta, perchè le donne romane non furono totalmente schiave come le Greche, segregate come in cella nel gineceo senza alcun diritto. Anzi rispetto alle donne barbare erano privilegiate. Un'altra impronta la lasciarono gli Etruschi, dove le donne erano nei diritti quasi uguali agli uomini.
I DIRITTI
La
donna romana era costantemente sotto tutela, cioè in manu: dalla manus del padre passava, anche senza il suo
consenso, a quella del marito. Augusto le dette la possibilità di sposarsi
senza quella tutela, tuttavia è documentato il matrimonio senza manus, cioè
senza potere del marito, in epoca precedente alle Dodici Tavole di Romolo,
quando il regime risentiva del precedente matriarcato sabino ed era meno
patriarcale.
La donna romana aveva molte limitazioni alla sua capacità giuridica, giustificate da pretese qualità negative della donna come l'ignoranza della legge (grazie, non la facevano studiare), l'imbecillità della mente femminile e la debolezza sessuale. Non poteva adottare (cosa consentita anche a impotenti ed eunuchi), non poteva rappresentare interessi altrui, nè in giudizio, nè in contrattazioni private, non poteva garantire per debiti di terzi, nè fare operazioni bancarie, nè essere tutrice dei suoi figli minori. Per il matrimonio sine manu, senza potere maritale c'erano due condizioni: la convivenza degli sposi e il reciproco consenso a considerarsi marito e moglie. Se veniva a mancare uno di questi elementi il matrimonio si scioglieva. Il ripudio era invece sempre possibile. Bastava recapitare al coniuge un biglietto con su scritto:tuas res tibi habeto, (riprenditi quello che è tuo).
Insomma la situazione della moglie romana agli inizi dell'impero mutò e il ruolo protettivo del marito cominciò ad apparire inutile e soffocante. La matrona divenne libera di uscire, le schiave la truccavano, la pettinavano e si guarniva di gioielli.
Le classi superiori potevano limitare le nascite con la continenza. La matrona che viveva in tal modo veniva ammirata ed approvata. Ma i mariti? C'era netta distinzione tra donne ignobili e donne rispettabili come le matrone. Le prime appartenevano al mondo del teatro, del circo, della prostituzione, oppure le adultere, con divieto di portare la stola, di contrarre matrimonio e di trasmettere diritti civili.
La donna di basso ceto poteva convivere in famiglia come concubina. La matrona accettava le relazioni del marito con schiave o donne non rispettabili. La moglie di Augusto, secondo quanto riferisce Svetonio, le forniva personalmente al marito, ma a Svetonio Augusto non era simpatico, per cui non è da prendere in parola.
La donna romana aveva molte limitazioni alla sua capacità giuridica, giustificate da pretese qualità negative della donna come l'ignoranza della legge (grazie, non la facevano studiare), l'imbecillità della mente femminile e la debolezza sessuale. Non poteva adottare (cosa consentita anche a impotenti ed eunuchi), non poteva rappresentare interessi altrui, nè in giudizio, nè in contrattazioni private, non poteva garantire per debiti di terzi, nè fare operazioni bancarie, nè essere tutrice dei suoi figli minori. Per il matrimonio sine manu, senza potere maritale c'erano due condizioni: la convivenza degli sposi e il reciproco consenso a considerarsi marito e moglie. Se veniva a mancare uno di questi elementi il matrimonio si scioglieva. Il ripudio era invece sempre possibile. Bastava recapitare al coniuge un biglietto con su scritto:tuas res tibi habeto, (riprenditi quello che è tuo).
Insomma la situazione della moglie romana agli inizi dell'impero mutò e il ruolo protettivo del marito cominciò ad apparire inutile e soffocante. La matrona divenne libera di uscire, le schiave la truccavano, la pettinavano e si guarniva di gioielli.
Le classi superiori potevano limitare le nascite con la continenza. La matrona che viveva in tal modo veniva ammirata ed approvata. Ma i mariti? C'era netta distinzione tra donne ignobili e donne rispettabili come le matrone. Le prime appartenevano al mondo del teatro, del circo, della prostituzione, oppure le adultere, con divieto di portare la stola, di contrarre matrimonio e di trasmettere diritti civili.
La donna di basso ceto poteva convivere in famiglia come concubina. La matrona accettava le relazioni del marito con schiave o donne non rispettabili. La moglie di Augusto, secondo quanto riferisce Svetonio, le forniva personalmente al marito, ma a Svetonio Augusto non era simpatico, per cui non è da prendere in parola.
BELLEZZA
E ABBIGLIAMENTO
Per essere belle le ragazze romane dovevano essere magre e le madri le costringevano a diete feroci, anche se non tutti erano d'accordo: "Le nostre ragazze sono costrette dalle loro madri ad avere spalle cascanti e seno schiacciato, perché sembrino magre. Se le vedono un po’ troppo in carne dicono che assomigliano ai lottatori da fiera e le riducono il cibo. In questo modo, anche se posseggono oggi. Come si vede la magrezza era considerata bellezza al pari di grazie naturali, le fanno diventare dei fuscelli, ma è proprio così che piacciono."
Per essere belle le ragazze romane dovevano essere magre e le madri le costringevano a diete feroci, anche se non tutti erano d'accordo: "Le nostre ragazze sono costrette dalle loro madri ad avere spalle cascanti e seno schiacciato, perché sembrino magre. Se le vedono un po’ troppo in carne dicono che assomigliano ai lottatori da fiera e le riducono il cibo. In questo modo, anche se posseggono oggi. Come si vede la magrezza era considerata bellezza al pari di grazie naturali, le fanno diventare dei fuscelli, ma è proprio così che piacciono."
I
CAPELLI
"Ogni donna scelga, davanti allo specchio, la pettinatura che maggiormente le dona. Un volto lungo vuole capelli divisi sulla fronte, con semplicità. Un viso tondo, capelli raccolti a nodo sopra il capo, con le orecchie scoperte, oppure sciolti sulle spalle.
Ci sarà poi chi preferisce i capelli inanellati; chi i capelli stretti alle tempie; chi acconciati finemente, con mille pettini; chi sciolti in grandi onde. Qualcuno amerà la testa falsamente trascurata, che in realtà richiede più cure di tutte. La canizie avanzate potrà essere mascherata con una tintura; né mancherà chi porterà sul capo i capelli di un'altra, vantandosene come fossero suoi.
"Ogni donna scelga, davanti allo specchio, la pettinatura che maggiormente le dona. Un volto lungo vuole capelli divisi sulla fronte, con semplicità. Un viso tondo, capelli raccolti a nodo sopra il capo, con le orecchie scoperte, oppure sciolti sulle spalle.
Ci sarà poi chi preferisce i capelli inanellati; chi i capelli stretti alle tempie; chi acconciati finemente, con mille pettini; chi sciolti in grandi onde. Qualcuno amerà la testa falsamente trascurata, che in realtà richiede più cure di tutte. La canizie avanzate potrà essere mascherata con una tintura; né mancherà chi porterà sul capo i capelli di un'altra, vantandosene come fossero suoi.
La moda cambiò comunque secondo i tempi
e le donne che contavano, come l'imperatrice, ma nell'antica Roma si ritenevano
particolarmente eleganti le acconciature etrusche: annodati o intrecciati
dietro le spalle, a boccoli sulle spalle, annodati a corona sul capo o raccolti
in reticelle o cuffie. Diademi e coroncine, o spilloni di metallo
prezioso completavano le preziose
acconciature.
Per essere bionde usavano posticci di chiome di barbari nordici, oppure spargevano sui capelli una porporina d'oro. Ma esisteva anche lo schiarimento con una mistura di limone ed acqua distillata di fiori di ligustro.
In più c'erano saponi particolari, come le "Spumae Batavae", usati per schiarire i capelli o tingerli di rosso o di nero corvino. I capelli erano comunque trattati con balsami a base di olio di noce ed essenza di mirto.
Per essere bionde usavano posticci di chiome di barbari nordici, oppure spargevano sui capelli una porporina d'oro. Ma esisteva anche lo schiarimento con una mistura di limone ed acqua distillata di fiori di ligustro.
In più c'erano saponi particolari, come le "Spumae Batavae", usati per schiarire i capelli o tingerli di rosso o di nero corvino. I capelli erano comunque trattati con balsami a base di olio di noce ed essenza di mirto.
L'IGIENE
I lavacri avvenivano spesso nelle terme
pubbliche ma i ricchi disponevano di terme private, dove si immergevano in
acqua calda, poi tiepida poi fredda dove erano immerse erbe aromatiche come
rosmarino e alloro.
IL TRUCCO
Per avere una candida carnagione occorr eva
un fondo tintaluminoso, della biacca mista a miele ed
altre sostanze grasse, detta cerussa, oppure
veniva steso il lomentum, farina
di fave, o il gesso cretese. Ma a volte, per ottenere un incarnato dorato,
passavano sul collo e le braccia polvere di zafferano profumato.
Per il fard si mescolava un po’ di terra rossa di Selina, proveniente da Selinunte (Sicilia), o la feccia del vino, o ilfucus (estratto di alga) o l’ocra rossa.
Si creavano anche effetti speciali, come un fondo tintairidescente stendendo sul viso polvere di vetro. Dalla malachite e dalla azzurrite si ricavavano ombretti verdi e
Con lo stibium, antimonio polverizzato, o fumidus, nero di fuliggine di carbone, misto a grasso d'oca o grasso vegetale, venivano marcati i sopraccigli e si sottolineava il contorno degli occhi, l'eye liner, e pure piccoli nei neri, gli splenia, disegnati sulla guancia e sul mento.
Ma esistevano pure i rossetti, ricavati dal gelso, dal fuco, da estratti animali e vegetali e da sostanze minerali, soprattutto cinabro, gesso rosso e minio.
I belletti erano conservati in cofanetti di legno pregiato tipo beauty case, boccette di vetro soffiato, pasta vitrea, terracotta o alabastro, e in conchiglie, naturali o plasmate in ambra profumata, usate soprattutto per contenere rossetti e ombretti.
Per i profumi c'erano particolari contenitori a forma di colomba, riempiti e sigillati a fiamma, per aprire i quali si usava spezzarne la coda o il becco. Dopo l'apertura venivano travasati nelle bottigliette
Per il fard si mescolava un po’ di terra rossa di Selina, proveniente da Selinunte (Sicilia), o la feccia del vino, o ilfucus (estratto di alga) o l’ocra rossa.
Si creavano anche effetti speciali, come un fondo tintairidescente stendendo sul viso polvere di vetro. Dalla malachite e dalla azzurrite si ricavavano ombretti verdi e
Con lo stibium, antimonio polverizzato, o fumidus, nero di fuliggine di carbone, misto a grasso d'oca o grasso vegetale, venivano marcati i sopraccigli e si sottolineava il contorno degli occhi, l'eye liner, e pure piccoli nei neri, gli splenia, disegnati sulla guancia e sul mento.
Ma esistevano pure i rossetti, ricavati dal gelso, dal fuco, da estratti animali e vegetali e da sostanze minerali, soprattutto cinabro, gesso rosso e minio.
I belletti erano conservati in cofanetti di legno pregiato tipo beauty case, boccette di vetro soffiato, pasta vitrea, terracotta o alabastro, e in conchiglie, naturali o plasmate in ambra profumata, usate soprattutto per contenere rossetti e ombretti.
Per i profumi c'erano particolari contenitori a forma di colomba, riempiti e sigillati a fiamma, per aprire i quali si usava spezzarne la coda o il becco. Dopo l'apertura venivano travasati nelle bottigliette
LE VESTI
La differenza tra vesti maschili e
femminili non consisteva tanto nella foggia quanto nei tessuti e nei colori.
Le stoffe femminili, e non solo, potevano essere di diversi colori; con lo zafferano si otteneva una bellissima tintura gialla, più aranciata o più pallida a seconda della tinta impiegata, mentre dall'uva bianca si otteneva il verde, mista con l'uva nera il viola, mentre l'uva nera dava tinte dal grigio al bruno; colla bava del mollusco Murex, si otteneva il color porpora, ma insieme al mollusco essiccato e tritato, donava alla stoffa una sfumatura bluastra, l'“oltremare purpureo”.
Gli Etruschi avevano insegnato ai Romani ad usare tinture come robbia (rosso), zafferano (giallo) e guado (celeste).
Secondo Vitruvio la tintura indaco veniva dall'India, ma sembra ce ne fosse anche una autoctona ottenuta col fiordaliso. Si usavano pure ocre minerali con ossidi idrati di ferro per ottenere i colori più svariati. Taranto divenne famosa per la tintura con l'oricello, un tipo di lichene, che mischiato alla porpora serviva ad abbassarne il costo notevole. Nella Roma del II sec. a.c. i tintori erano suddivisi per categorie; i croceari per il giallo, i violari per il viola, le officinae purpurinae per la porpora.
Le donne Romane poi non avevano solo stoffe in tinta unita ma anche a strisce, come dimostrano numerosi busti romani i cui vestiti erano imitati dal marmo, e pure ricamate o intessute a telaio a disegni vari.
Poi indossavano la tunica, più lunga di quella maschile; sopra questa la stola, veste caratteristica della matrona romana, così come la toga è il costume nazionale degli uomini.
La stola era una sopravveste molto ampia che scendeva sino ai piedi, stretta in vita da una o due cinture, una più alta e l’altra sui fianchi, oppure una incrociata sui seni e poi passata intorno alla vita. Era chiusa sul petto da una fibbia, oppure sulle spalle da bottoni ornati di pietre preziose, con maniche corte o lunghe, non cucite ma fermate sopra da nastri o bottoni, ornata in fondo da una striscia di porpora o da una balza ricamata in oro. La rica era invece un'ampia sciarpa di velo ornata con frange, che veniva usata dalle donne nelle cerimonie religiose. Simile alla rica, ma di dimensioni più limitate, era il ricìnium, che era distintivo di lutto.
Talvolta le donne si coprivano la testa con un lembo della palla; nei tempi antichi era obbligatorio pena il ripudio, ma in era imperiale si portava solo nelle cerimonie.
La toga invece per la romana era un'onta, infatti erano o bbligate a portarla l'adultera e la prostituta..
Tra le calzature più importanti c'era il solea, ossia il tipico sandalo romano ed il calceum, uno stivaletto alto fino a mezza gamba e stretto con dei lacci. Gli etruschi diffusero anche una specie di babbuccia orientale che le donne romane fecero tingere in diversi colori, con applicazioni in seta ed anche in oro.
Ma anche gli orpelli erano importanti: le donne romane quasi sempre ponevano nastri sui capelli a diverse altezze, prima solo rossi poi di diversi colori, e pure una fascia piuttosto alta che formava quasi un cono sui capelli. I nastri erano di seta e talvolta di velo ritorto.
Le stoffe femminili, e non solo, potevano essere di diversi colori; con lo zafferano si otteneva una bellissima tintura gialla, più aranciata o più pallida a seconda della tinta impiegata, mentre dall'uva bianca si otteneva il verde, mista con l'uva nera il viola, mentre l'uva nera dava tinte dal grigio al bruno; colla bava del mollusco Murex, si otteneva il color porpora, ma insieme al mollusco essiccato e tritato, donava alla stoffa una sfumatura bluastra, l'“oltremare purpureo”.
Gli Etruschi avevano insegnato ai Romani ad usare tinture come robbia (rosso), zafferano (giallo) e guado (celeste).
Secondo Vitruvio la tintura indaco veniva dall'India, ma sembra ce ne fosse anche una autoctona ottenuta col fiordaliso. Si usavano pure ocre minerali con ossidi idrati di ferro per ottenere i colori più svariati. Taranto divenne famosa per la tintura con l'oricello, un tipo di lichene, che mischiato alla porpora serviva ad abbassarne il costo notevole. Nella Roma del II sec. a.c. i tintori erano suddivisi per categorie; i croceari per il giallo, i violari per il viola, le officinae purpurinae per la porpora.
Le donne Romane poi non avevano solo stoffe in tinta unita ma anche a strisce, come dimostrano numerosi busti romani i cui vestiti erano imitati dal marmo, e pure ricamate o intessute a telaio a disegni vari.
Poi indossavano la tunica, più lunga di quella maschile; sopra questa la stola, veste caratteristica della matrona romana, così come la toga è il costume nazionale degli uomini.
La stola era una sopravveste molto ampia che scendeva sino ai piedi, stretta in vita da una o due cinture, una più alta e l’altra sui fianchi, oppure una incrociata sui seni e poi passata intorno alla vita. Era chiusa sul petto da una fibbia, oppure sulle spalle da bottoni ornati di pietre preziose, con maniche corte o lunghe, non cucite ma fermate sopra da nastri o bottoni, ornata in fondo da una striscia di porpora o da una balza ricamata in oro. La rica era invece un'ampia sciarpa di velo ornata con frange, che veniva usata dalle donne nelle cerimonie religiose. Simile alla rica, ma di dimensioni più limitate, era il ricìnium, che era distintivo di lutto.
Talvolta le donne si coprivano la testa con un lembo della palla; nei tempi antichi era obbligatorio pena il ripudio, ma in era imperiale si portava solo nelle cerimonie.
La toga invece per la romana era un'onta, infatti erano o bbligate a portarla l'adultera e la prostituta..
Tra le calzature più importanti c'era il solea, ossia il tipico sandalo romano ed il calceum, uno stivaletto alto fino a mezza gamba e stretto con dei lacci. Gli etruschi diffusero anche una specie di babbuccia orientale che le donne romane fecero tingere in diversi colori, con applicazioni in seta ed anche in oro.
Ma anche gli orpelli erano importanti: le donne romane quasi sempre ponevano nastri sui capelli a diverse altezze, prima solo rossi poi di diversi colori, e pure una fascia piuttosto alta che formava quasi un cono sui capelli. I nastri erano di seta e talvolta di velo ritorto.
È logico domandarsi quale ruolo abbia
attualmente la famiglia e se sono da considerarsi tali anche i nuovi tipi di
famiglia. A questo proposito ci sono due visioni diametralmente opposte: quella
della Chiesa Cattolica e quella laica.
La Chiesa Cattolica ritiene che la famiglia sia la comunità principale all’interno della quale crescere le nuove generazioni, che debba essere composta da madre, padre e figli e che i coniugi non possano separarsi, perché il loro obiettivo principale deve essere amare, educare e dare il buon esempio ai propri figli.
Invece il laico, ritiene che l’unione non debba mettere al centro i figli, bensì la coppia, inoltre ritiene che i giovani possano sviluppare meglio la propria personalità se crescono a contatto di più persone e non solamente sotto l’ala protettiva dei genitori. Il laico crede anche che molte funzioni, una volta prerogativa esclusiva della famiglia, oggi vengono svolte da istituzioni specializzate: i ragazzi sono istruiti a scuola, imparano i precetti religiosi a catechismo.
Questa visione della famiglia è in buona parte legata alla diversa definizione dei ruoli sociali delle donne, non più dedite a tempo pieno al marito e ai figli. Nelle società occidentali contemporanee le donne sono inserite nel mondo del lavoro a tutti gli effetti, di conseguenza hanno meno tempo di accudire i figli e trovano naturale appoggiarsi alle istituzioni. D’altro canto il miglioramento del tenore di vita e la possibilità di acquistare beni e servizi ha reso uomini e donne più individualisti e più restii a formare una famiglia che comporta soddisfazioni ma anche sacrifici e rinunce .
Le coppie senza figli possono viaggiare di più e più spesso, dedicare il tempo libero ai propri hobby, possono passare più tempo con gli amici, stare tra loro, andare al cinema o al ristorante, e così via. In alcuni casi, inoltre, avere figli porta a grandi svantaggi economici: prima di tutto per i figli stessi, molti dei quali, ad esempio, non appena finita la scuola dell’obbligo dovrebbero andare subito a lavorare senza la possibilità di continuare ad istruirsi, e poi per la famiglia che deve rinunciare a vacanze e svaghi.
Appare chiaro che formare una famiglia per un laico è una scelta non il fine del matrimonio e,in questa ottica non esistono distinzioni tra coppie sposate in chiesa o municipio, e coppie di fatto. Paradossalmente anche una coppia omosessuale che sceglie consapevolmente di adottare un bimbo può realizzare un buon ambiente famigliare adatto a crescere un figlio .
Per me la famiglia è fondata sull’unione di un uomo e una donna e in linea con gli insegnamenti dei miei genitori sarei per l’indissolubilità del matrimonio. Uso il condizionale perché trovo contraddittorio che la Chiesa riconosca che in certe situazioni la coabitazione matrimoniale sia impossibile, ma consideri i coniugi separati,che non si amano più, marito e moglie per tutta la vita. Ritengo che un buon ambiente famigliare richieda responsabilità, amore e sacrificio e queste sono qualità che ogni individuo deve cercare dentro di se e esplicitare con l’aiuto del partner giusto. In sostanza sono propenso a ritenere famiglia anche le coppie di fatto e ho amici che vivono in famiglie allargate e non mi pare che abbiano problemi o turbe. Da figlio sostengo che l’educazione deve essere impartita dalla famiglia, perche le regole si imparano discutendole e la scuola e altri enti non hanno il tempo , la sensibilità e la pazienza che possono avere i genitori.
Giuliana Asero
Santhussya Balasingam
Maria Antonietta Buccheri
Eleonora Gresta
Anna Pantano
2N Liceo Scientifico Galileo Galilei
La Chiesa Cattolica ritiene che la famiglia sia la comunità principale all’interno della quale crescere le nuove generazioni, che debba essere composta da madre, padre e figli e che i coniugi non possano separarsi, perché il loro obiettivo principale deve essere amare, educare e dare il buon esempio ai propri figli.
Invece il laico, ritiene che l’unione non debba mettere al centro i figli, bensì la coppia, inoltre ritiene che i giovani possano sviluppare meglio la propria personalità se crescono a contatto di più persone e non solamente sotto l’ala protettiva dei genitori. Il laico crede anche che molte funzioni, una volta prerogativa esclusiva della famiglia, oggi vengono svolte da istituzioni specializzate: i ragazzi sono istruiti a scuola, imparano i precetti religiosi a catechismo.
Questa visione della famiglia è in buona parte legata alla diversa definizione dei ruoli sociali delle donne, non più dedite a tempo pieno al marito e ai figli. Nelle società occidentali contemporanee le donne sono inserite nel mondo del lavoro a tutti gli effetti, di conseguenza hanno meno tempo di accudire i figli e trovano naturale appoggiarsi alle istituzioni. D’altro canto il miglioramento del tenore di vita e la possibilità di acquistare beni e servizi ha reso uomini e donne più individualisti e più restii a formare una famiglia che comporta soddisfazioni ma anche sacrifici e rinunce .
Le coppie senza figli possono viaggiare di più e più spesso, dedicare il tempo libero ai propri hobby, possono passare più tempo con gli amici, stare tra loro, andare al cinema o al ristorante, e così via. In alcuni casi, inoltre, avere figli porta a grandi svantaggi economici: prima di tutto per i figli stessi, molti dei quali, ad esempio, non appena finita la scuola dell’obbligo dovrebbero andare subito a lavorare senza la possibilità di continuare ad istruirsi, e poi per la famiglia che deve rinunciare a vacanze e svaghi.
Appare chiaro che formare una famiglia per un laico è una scelta non il fine del matrimonio e,in questa ottica non esistono distinzioni tra coppie sposate in chiesa o municipio, e coppie di fatto. Paradossalmente anche una coppia omosessuale che sceglie consapevolmente di adottare un bimbo può realizzare un buon ambiente famigliare adatto a crescere un figlio .
Per me la famiglia è fondata sull’unione di un uomo e una donna e in linea con gli insegnamenti dei miei genitori sarei per l’indissolubilità del matrimonio. Uso il condizionale perché trovo contraddittorio che la Chiesa riconosca che in certe situazioni la coabitazione matrimoniale sia impossibile, ma consideri i coniugi separati,che non si amano più, marito e moglie per tutta la vita. Ritengo che un buon ambiente famigliare richieda responsabilità, amore e sacrificio e queste sono qualità che ogni individuo deve cercare dentro di se e esplicitare con l’aiuto del partner giusto. In sostanza sono propenso a ritenere famiglia anche le coppie di fatto e ho amici che vivono in famiglie allargate e non mi pare che abbiano problemi o turbe. Da figlio sostengo che l’educazione deve essere impartita dalla famiglia, perche le regole si imparano discutendole e la scuola e altri enti non hanno il tempo , la sensibilità e la pazienza che possono avere i genitori.
Giuliana Asero
Santhussya Balasingam
Maria Antonietta Buccheri
Eleonora Gresta
Anna Pantano
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