Il
Matrimonio nell’Antica Roma
Il
matrimonio romano era preceduto dalla sponsalia, cerimonia di fidanzamento, con
cui la donna riceveva un anello, simbolo di accordo in vista del matrimonio.
Il Documento
Il fidanzamento
a Roma
Che
valore aveva il fidanzamento nell’Antica Roma? Ce ne parla Aulo Gellio,
scrittore Latino del II secolo d.C., il quale riporta la testimonianza di
Servio Sulpicio Galba (II secolo a.C.), autore di un libro “ Sulle doti”.
“Servio Sulpicio scrisse che i fidanzamenti in
quella parte dell’Italia che si chiama Lazio avvenivano secondo quest’usanza e
queste norme di legge. Che aveva intenzione – dice – di prendere moglie esigeva
da colui che gliela doveva concedere l’impegno formale che ella sarebbe stata
data in matrimonio; il futuro marito, faceva, allo stesso modo, promessa
solenne. Questo contratto di impegno e di promesse reciproche era chiamato sponsalia. Allora, quella che era stata
promessa si chiamava sponsa e colui
che aveva promesso di sposarla sponsus.
Ma se dopo questo accordi la donna non veniva più data o presa in moglie, lo
stipulatore del contratto intentava un’azione giudiziaria sulla base
dell’impegno preso.
I giudici facevano l’istruttoria. Il giudice
ricercava per quale motivo la futura sposa non fosse stata data o accolta in
matrimonio. Se non risultava una causa legittima, valutava in denaro il caso in
contestazione e condannava al pagamento della somma (costituente l’interesse di
ricevere o dare tale moglie) colui che aveva promesso solennemente in favore di
colui che aveva richiesto l’impegno.
(Aulo
Gellio, Le notti attiche IV, 4, 1, trad. di F. Cavazza, Zanichelli, Bologna)
Due proposte
scandalose
Livio
descrive con molta efficacia lo scandalo suscitato nei patrizi e nel senato
dalla proposta di consentire i matrimoni tra patrizi e plebei in deroga a ciò
che era prescritto dalle leggi delle XII tavole. La proposta fu avanzata dai
tribuni della plebe, magistrati dall’inizio del V secolo a.C. tutelavano gli interessi
dei plebei.
“ Mentre da una
parte i consoli incitavano i senatori contro il tribuno, dall’altra il tribuno
aizzava il popolo contro i consoli.
“ Non era
possibile, dicevano i consoli, tollerare più oltre le pazze pretese dei
tribuni: si era giunti agli estremi, le guerre intestine erano più pericolose
di quelle esterni. (…) Quali risultati di codesti matrimoni promiscui se non
l’accoppiamento divulgato di plebei e patrizi, quasi come avviene tra gli
animali, in modo che poi uno non sappia più dire quale sia la sua condizione di
nascita, a quale sangue appartenga, a quale forma di culto?E quasi questo
sconvolgimento del divino e dell’umano non bastasse, i mestatori del volgo si
accingono alla conquista del consolato e, in un primo tempo, nei loro discorsi
hanno lanciato l’idea che uno dei consoli sia scelto tra i plebei, ora vogliono
varare una legge per la quale il popolo possa creare consoli patrizi o plebei a
suo piacimento. (…) Oh non permetta Giove ottimo massimo che questo potere di
regale maestà cada così in basso! Meglio mille volte morire piuttosto che
permettere che si giunga ad un simile disonore!”
(Livio, Storia di Roma IV, 2 trad. di
C. Vitali, cit.)
Esistevano
tre tipi di matrimonio:
·
Confarreatio: prendeva la dextearum iunctio e la
consumazione di un dolce da
parte degli sposi.
·
Coemptio:
consisteva
in un simbolico acquisto di un bene, che equivaleva a comperare la sposa dal
padre della donna. Era quindi una vera e propria cessione di persona dietro
pagamento, come la trattazione di uno schiavo.
·
Usus: si basava sul
principio dell’usu capione secondo cui un bene (donna) tenuto per almeno un
anno da qualcuno, ne diviene legittima proprietà.
L’uomo
aveva il diritto di punire la
propria moglie per vari comportamenti illeciti: i più consistenti erano:
·
L’adulterio:
scontato
con la morte per inedia nel carcere domestico.
·
Bere
vino: equivaleva
a fare entrare in sè un principio estraneo come nell’adulterio, tant’è che la
colpa era la stessa. I Romani temevano che, bevendo vino, le donne avrebbero
abortito, fatto assai inammissibile nell’antica Roma, che esaltava in ogni modo
la virtù della fertilità come nei Lupercalia o con l’iconografia.
Uno dei valori
attribuito alla fertilità femminile consisteva nella cessione del ventre, per
cui un uomo cede in prestito la
propria moglie ad un amico e la nascita di un figlio serviva a rinsaldare
l’amicizia tra i due uomini. La separazione tra i coniugi poteva essere attuata
solamente dall’uomo, ed esistevano due modi:
·
Divortium
e Repudium:
poiché la donna non assolveva la sua funzione
principale, quale quella di generare figli, a causa, presumibilmente della sua
infertilità, veniva cacciata di casa e ritornava dalla propria famiglia. Il
ruolo della donna sposata, matrona consisteva nel generare bambini, educarli e
tutelarli fino alla loro indipendenza e oltre.
·
Mos
maiorum: concepisce
la donna ideale lanifica, casta, virtuosa, pia, univira, proba e fedele.
Però
negli ultimi due secoli della Repubblica,
a Roma la donna comincia una piccola emancipazione condotta da famose donne del
tempo come Ortensia, che, grazie alla sua capacità oratoria, intervenne per la difesa
e la tutela degli interessi delle donne sue coetanee.
Il Documento
Una donna contro
i triumviri
Nel
42 a.C. i triumviri imposero alle matrone più ricche della città un’ingente
tassa con cui contribuire alle spese militari. Tutte insorsero e Ortensia,
figlia dell’avvocato Quinto Ortensio Ortalo, prima rivale, poi amico di
Cicerone, si fece portavoce della loro protesta, ottenendo un risultato davvero
inaspettato:
“Ortensia, figlia di Quinto Ortensio Ortalo,
dal momento che le matrone erano state gravate dai triumviri con una pesante
tassa e nessun uomo osava prendere le loro difese, lo fece lei, in modo
coraggioso e con esito felice: riprodotta infatti l’eloquenza paterna ottenne
che la maggior parte del denaro loro richiesto fosse condonato.
(Valerio Massimo, Fatti e detti memorabili
VIII, 3, 3)
2A AFM Istituto Tecnico De Felice Giuffrida
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