Nella
Roma arcaica, il "pater familias" (con il suo potere assoluto) aveva
dei privilegi relativi al fatto che era titolare dei propri beni, a differenza
della donna, che come i figli, non poteva possedere qualcosa di proprio.
Soltanto l'uomo godeva dei diritti politici (votare, eleggere e farsi eleggere,
percorrere la carriera politica, il "cursus honorum") . La donna ne
era del tutto esclusa; anche per esercitare i diritti civili (sposarsi,
ereditare, fare testamento) aveva bisogno del consenso di un tutore, di un uomo
che esercitasse su di lei la tutela: questi era il padre, poi il marito e,
all'eventuale morte del marito, il parente maschio prossimo. Durante l'ultimo
secolo della repubblica e nei primi dell'impero, la donna aveva maggiore
libertà rispetto alle epoche passate, ma restava sempre sottomessa al marito.
La condizione della donna era migliorata sia
dal punto di vista giuridico che da quello pratico, relativamente ai
comportamenti quotidiani giudicati leciti dalla società.
Questo fu il frutto degli effetti del periodo
di guerra che allontanarono gli uomini e moltiplicarono il numero delle vedove,
le quali si trovarono a disporre di maggiori poteri e nuove responsabilità
nelle famiglie e nella società, modificandone anche i pregiudizi. La donna
romana indossava una tunica che non arrivava oltre al ginocchio e su di essa
portava una stola che copriva il collo, fino ad arrivare alla caviglia, fissata
alle spalle con dei fermagli metallici.
Le donne di buona famiglia furono ammesse
nelle scuole, dimostrando tendenze per la danza, il canto e la musica,
svolgendo anche attività un tempo riservate agli uomini: (avvocato, medico,
atleta, artista).
Le donne emersero poi anche nei circoli
politici e culturali partecipando così alla vita pubblica, sia pure
indirettamente.
Col passare del tempo la donna riuscì anche a
conquistare ulteriori diritti come la possibilità, da parte delle ereditiere,
di scegliere da sole i propri tutori di fiducia, i quali le lasciavano libere
di agire come volevano.
Nella casa godeva del massimo prestigio, ne
dirigeva l'andamento, guidava la servitù ed insieme al marito amministrava il
patrimonio della famiglia.
Con il matrimonio la sposa assumeva il nome
del marito e gli portava come regalo di matrimonio una dote. Spesso la donna
veniva usata come uno strumento, infatti serviva per stipulare delle nuove
alleanze.
Durante l'epoca repubblicana il ruolo della
donna divenne assai più "prestigioso", tanto che lo stesso Cesare per
avere il favore di Pompeo gli diede in sposa sua figlia già promessa ad un
giovane aristocratico.
Il
matrimonio romano era preceduto da una cerimonia di fidanzamento chiamata sponsalia, con cui la donna riceveva un
anello, simbolo di accordo in vista del matrimonio.
Il Documento
Il fidanzamento a Roma
Che
valore aveva il fidanzamento nell’Antica Roma? Ce ne parla Aulo Gellio,
scrittore Latino del II secolo d.C., il quale riporta la testimonianza di
Servio Sulpicio Galba (II secolo a.C.), autore di un libro “ Sulle doti”.
“Servio Sulpicio
scrisse che i fidanzamenti in quella parte dell’Italia che si chiama Lazio
avvenivano secondo quest’usanza e queste norme di legge. Che aveva intenzione –
dice – di prendere moglie esigeva da colui che gliela doveva concedere
l’impegno formale che ella sarebbe stata data in matrimonio; il futuro marito,
faceva, allo stesso modo, promessa solenne. Questo contratto di impegno e di
promesse reciproche era chiamato sponsalia.
Allora, quella che era stata promessa si chiamava sponsa e colui che aveva promesso di sposarla sponsus. Ma se dopo questo accordi la donna non veniva più data o
presa in moglie, lo stipulatore del contratto intentava un’azione giudiziaria
sulla base dell’impegno preso.
I giudici facevano l’istruttoria. Il giudice
ricercava per quale motivo la futura sposa non fosse stata data o accolta in
matrimonio. Se non risultava una causa legittima, valutava in denaro il caso in
contestazione e condannava al pagamento della somma (costituente l’interesse di
ricevere o dare tale moglie) colui che aveva promesso solennemente in favore di
colui che aveva richiesto l’impegno.
(Aulo
Gellio, Le notti attiche IV, 4, 1, trad. di F. Cavazza, Zanichelli, Bologna)
Due proposte scandalose
Livio
descrive con molta efficacia lo scandalo suscitato nei patrizi e nel senato
dalla proposta di consentire i matrimoni tra patrizi e plebei in deroga a ciò
che era prescritto dalle leggi delle XII tavole. La proposta fu avanzata dai
tribuni della plebe, magistrati dall’inizio del V secolo a.C. tutelavano gli
interessi dei plebei.
“Mentre da una parte i
consoli incitavano i senatori contro il tribuno, dall’altra il tribuno aizzava
il popolo contro i consoli.
“Non era possibile,
dicevano i consoli, tollerare più oltre le pazze pretese dei tribuni: si era
giunti agli estremi, le guerre intestine erano più pericolose di quelle
esterni. (…) Quali risultati di codesti matrimoni promiscui se non
l’accoppiamento divulgato di plebei e patrizi, quasi come avviene tra gli
animali, in modo che poi uno non sappia più dire quale sia la sua condizione di
nascita, a quale sangue appartenga, a quale forma di culto?E quasi questo
sconvolgimento del divino e dell’umano non bastasse, i mestatori del volgo si
accingono alla conquista del consolato e, in un primo tempo, nei loro discorsi
hanno lanciato l’idea che uno dei consoli sia scelto tra i plebei, ora vogliono
varare una legge per la quale il popolo possa creare consoli patrizi o plebei a
suo piacimento. (…) Oh non permetta Giove ottimo massimo che questo potere di
regale maestà cada così in basso! Meglio mille volte morire piuttosto che
permettere che si giunga ad un simile disonore!”
(Livio, Storia di Roma IV, 2 trad. di
C. Vitali, cit.)
Esistevano
tre tipi di matrimonio:
·
Confarreatio: prendeva
la dextearum iunctio e la consumazione di un dolce da parte degli sposi.
·
Coemptio: consisteva in un simbolico acquisto di
un bene, che equivaleva a comperare la sposa dal padre della donna. Era quindi
una vera e propria cessione di persona dietro pagamento, come la trattazione di
uno schiavo.
·
Usus: si basava sul principio dell’usu capione
secondo cui un bene (donna) tenuto per almeno un anno da qualcuno, ne diviene
legittima proprietà.
L’uomo
aveva il diritto di punire la
propria moglie per vari comportamenti illeciti: i più consistenti erano:
·
L’adulterio: scontato con la morte per inedia
nel carcere domestico.
·
Bere vino: equivaleva a fare entrare in sè un
principio estraneo come nell’adulterio, tant’è che la colpa era la stessa. I
Romani temevano che, bevendo vino, le donne avrebbero abortito, fatto assai
inammissibile nell’antica Roma, che esaltava in ogni modo la virtù della
fertilità come nei Lupercalia o con l’iconografia.
Uno
dei valori attribuito alla fertilità femminile consisteva nella cessione del
ventre, per cui un uomo cede in prestito
la propria moglie ad un amico e la nascita di un figlio serviva a
rinsaldare l’amicizia tra i due uomini. La separazione tra i coniugi poteva
essere attuata solamente dall’uomo, ed esistevano due modi:
·
Divortium e Repudium: poiché la donna non
assolveva la sua funzione
principale, quale quella di generare figli, a causa, presumibilmente della sua
infertilità, veniva cacciata di casa e ritornava dalla propria famiglia. Il
ruolo della donna sposata, matrona consisteva nel generare bambini, educarli e
tutelarli fino alla loro indipendenza e oltre.
·
Mos maiorum: concepisce la donna ideale
lanifica, casta, virtuosa, pia, univira, proba e fedele.
Però
negli ultimi due secoli della Repubblica,
a Roma la donna comincia una piccola emancipazione condotta da famose donne del
tempo come Ortensia, che, grazie alla sua capacità oratoria, intervenne per la
difesa e la tutela degli interessi delle donne sue coetanee.
Il Documento
Una donna contro i
triumviri
Nel
42 a.C. i triumviri imposero alle matrone più ricche della città un’ingente
tassa con cui contribuire alle spese militari. Tutte insorsero e Ortensia,
figlia dell’avvocato Quinto Ortensio Ortalo, prima rivale, poi amico di
Cicerone, si fece portavoce della loro protesta, ottenendo un risultato davvero
inaspettato:
“Ortensia, figlia di Quinto Ortensio Ortalo,
dal momento che le matrone erano state gravate dai triumviri con una pesante
tassa e nessun uomo osava prendere le loro difese, lo fece lei, in modo
coraggioso e con esito felice: riprodotta infatti l’eloquenza paterna ottenne
che la maggior parte del denaro loro richiesto fosse condonato.
(Valerio Massimo, Fatti e detti memorabili
VIII, 3, 3)
Stefania Musarra
Carola Nicolosi
Federica Pecora
Giovanni Russo
Giorgia Secondo
LE RELAZIONI CONIUGALI
OGGI
All'origine il matrimonio non era basato su alcun
rito, era sufficiente la convivenza "cum affections" a sancire
legalmente l'unione. Molte delle assunzioni della società riguardo alla natura
e allo scopo del matrimonio e della famiglia sono cambiate e stanno ancora
cambiando. A differenza di quanto avveniva in passato, il matrimonio non è più
una tappa obbligata nella vita dell'individuo. L'istituto legale del divorzio
permette di sciogliere il vincolo matrimoniale.
Dalla seconda guerra mondiale l'Occidente ha visto
forti crescite del numero di divorzi, del numero delle convivenze senza
matrimonio, del numero di persone non sposate, del numero di bambini nati fuori
dal matrimonio e pure una crescita nel numero di adulteri. È di fatto emerso un
sistema che può essere chiamato di monogamia seriale. Il matrimonio si è
evoluto da un patto a vita, che può essere rotto solamente per colpa o morte, a
un contratto che può essere rotto da ogni parte su richiesta. Tra le altre
variazioni avvenute nel matrimonio occidentale dalla prima guerra mondiale vi
sono:
- diversamente dal XIX secolo, la donna, non l'uomo,
ottiene l'affidamento dei figli in oltre l'80% dei casi di divorzio;
- entrambi i coniugi hanno il dovere formale di
sostegno al coniuge (non più solo il marito);
- nella maggior parte degli stati, lo stupro
all'interno del matrimonio viene punito legalmente;
- i figli nati fuori dal matrimonio hanno gli stessi
diritti di sostegno dei figli nati all'interno del matrimonio;
- il marito non
può più punire fisicamente la propria moglie.
Le proprietà acquisite dopo il matrimonio non
appartengono al solo titolare: queste proprietà sono considerate coniugali e
devono essere condivise dai coniugi secondo la legge della comproprietà o
un'equa distribuzione giudiziale. Questo punto può variare molto secondo gli
ordinamenti giuridici; in Italia è possibile stabilire se il regime economico
del matrimonio debba essere la comunione dei beni, e allora vale quanto detto
nel primo periodo, o la separazione dei beni.
In Europa e negli USA nel XXI secolo i soli matrimoni
legalmente sanciti sono quelli monogamici (sebbene alcune sacche di società
sanciscano socialmente la poligamia, seppure non legalmente) e il divorzio (la
cessazione del matrimonio) è relativamente semplice e socialmente sancito.
Nell'Occidente, la visione prevalente verso il
matrimonio oggi è che sia basato sull'attaccamento emotivo fra i partner e
intrapreso volontariamente, mentre sono banditi i matrimoni combinati.
Un fenomeno economico fiorente è fare ricorso a
agenzie matrimoniali per trovare la persona da sposare.
La pluralità di culture presenti nella nostra classe,
ci induce a fornire notizie sul rito del matrimonio indiano, che proveremo ad
illustrare.
Prima del matrimonio si convoca una riunione tra i
componenti delle famiglie dell'uomo e della donna, durante la quale la famiglia
dell'uomo formula regolare richiesta di matrimonio alla famiglia della donna.
Se il matrimonio viene accettato da entrambe le famiglie, la famiglia di lui in
un piatto pone frutta, soldi e sari (un indumento indiano che indossa la donna)
e lo dà ai familiari della sposa.
Alla celebrazione del rito matrimoniale, presso
l'altare prima giunge lo sposo che siede e recita delle preghiere, dopo la sposa
vestita con il sari e adorna di gioielli. Una volta celebrato il matrimonio, lo
sposo e la sposa entrano a casa dello sposo entrambi con il piede destro.
Floriana
Bisignano
Chiara
Condorelli
Janarthana
Muralientharan
Manuela
Nicolosi
Deborah
Palici
Angela
Tosto
2A Turistico Istituto Tecnico De Felice Giuffrida
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