La voce latina
familia, richiama il termine famulus (servo,schiavo,famiglio) e in
questo senso il termine include due concetti
romani:
· La gens, costituita da coloro che hanno
lo stesso nome gentilizio appartenente a un capostipite realmente
vissuto o più frequentemente a un mitico antenato e trasmessosi, anche in assenza di consanguineità, attraverso la
catena delle generazioni ( ad esempio i Cornelii) sino agli ultimi discendenti.
All’interno di questa famiglia, in senso lato; vi sono vari rami derivati
distinti dal cognomen ( così ad esempio la gens Cornelia comprende i
CorneliiScipiones, i CorneliiLentuli ecc.);
· La familia: l’insieme di
persone rette dal pater familias, cittadino romano sui iuris, cioè non
sottoposto a nessun altro pater.
LA PATRIA POTESTAS
Il
pater familias era detentore della patria potestas per la quale egli
aveva potere indiscusso sui figli e ulteriori discendenti maschi, anche con
proprie famiglie, finché egli voleva che facessero parte della sua più ampia
famiglia di cui è a capo; sulle donne nate in essa o entratevi per adozione,
finché non passavano ad altra familia con la conventio in manum; sugli schiavi;
su tutto il patrimonio da lui amministrato, del quale poteva liberamente
disporre con atto mortis causa.
Un
potere illimitato il suo che arrivava sino a quello di vita e di morte del padre
su i figli e del marito sulla moglie, come se questa fosse una sua figlia( loco
filiae). Un potere che Gaio , il giurista romano del II secolo,
riconosce come esclusivo dei Romani:
<<
Item in potestate nostra sunt liberi
nostri, quosiustisnuptiisprocreavimus. QuodiuspropriumciviumRomanorum est (
fare enim nulli aliisunthomines, qui talem in filiossuoshabentpotestatem,
qualem nos habemus)…>>
<<Parimeriti
sono in nostra potestà i nostri figli, che abbiamoprocreato che nozze
legittime. Questo è un diritto proprio
dei cittadini romani
(di
regola infatti non ci sono altri uomini, che abbiamo un tale potere sui loro
figli, quale ne abbiamo noi)…>>
Il
pater familias esercita anche una funzione religiosa come sacerdote di un culto
domestico che ha per oggetto i Lares familiares, gli spiriti protettori
degli antenati defunti che vegliano sul buon andamento della famiglia, e i Penati,
entità spirituali, trasmessi in eredità alla stregua dei beni patrimoniali, in
origine custodi dei viveri di riserva e della dispensa e, in seguito, numi
tutelari della famiglia e della casa.
Il
potere del pater familias era previsto delle antiche leggi sacre, attribuite ai
re, e dalla Legge delle XII tavole, che probabilmente si limitava a
fissare quello che era già un antico costume.
Nella realtà pratica, poi, si ritiene che questo “terribile diritto” venisse
moderato nei suoi caratteri di arbitrarietà dal controllo sociale e dalle
concenzioni più affettive dei rapporti familiari; ciò è certo soprattutto con
l’allontanarsi dai periodi più arcaici della storia romana, quando la
patria potestas diviene una generica supremazia all’interno del nucleo
famigliare del pater, piuttosto che un’effettiva disponibilità illimitata della
vita dei sottoposti.
In
particolare i poteri espressi nelle XII tavole comprendevano;
1. Lo iusexponendi, che conferiva al
pèadre la facoltà di abbandonare il figlio neonato in un luogo pubblico;
2. Lo iusvendendi, il diritto di
vendere i membri della famiglia;
3. Lo iusnoxaedandi ( diritto di
dare noxa - diritto di garanzia del danno), che concedeva al padre di
consegnare il figlio o lo schiavo colpevole di un illecito verso un terzo per
liberarsi della responsabilità o come garanzie per il pagamento di un debito.
4. La vitae necisquepotestas( il diritto di
vita e di morte).
La coniunction sanguini
Nel II secolo la condizione della familia è
profondamente mutata: il diritto gentilizio è caduto in disuso (
totumgentiliciumius in desuetudine abiit) e poco o nulla rimane del poter del
pater della famiglia patriarcale antica.
Ora non solo l’agnatio costituisce una
parentela legittima della discendenza maschile ma anche quella della cognatio,
la parentela da parte della donna la cui condizione non è più limitata dalle iustaenuptiae.
Già alla fine del periodo repubblicano alla madre è riconosciuto il diritto di
essere rispettata dai figli e di poter esercitare su questi la custodia o la
tutela nel caso di marito indegno.
Sotto Adriano si stabilisce che una
madre di tre figli illegittimi, nel caso il marito non abbia eredi, possa succedere ab intestato da
ciascuno di essi.
Un senatoconsulto
di Orfitiano nel 178 decreta che possano succedere alla madre, con precedenza
sugli “agnati” del marito, i figli di lei qualunque sia la loro legittimità di
nascita.
Ora nella famiglia prevale la
coniunctionsanguinis che costituisce un legame naturale tra i membri che la
compongono tale che nasce tra loro benevolenza e amore reciproco:
<< …et benevolentiadevincithomines et
charitate.>>
Dei poteri del pater familias rimase tuttavia
sino al 374 il diritto di esporre I neonati nelle discariche dove il più delle
volte muoiono per fame o freddo a meno che non li raccolga un passante
impietosito. Questa forma di infanticidio legale era praticata per lo
più dai poveri e da quanti si volevano liberare soprattutto dei figli legittimi
(spurii) e delle figlie.
Nel periodo imperiale tuttavia una volta che
si sia rinunciato allo iusexponendi non ci potrà più sbarazzare dei figli né con
la mancipatio ( che permane, ma solo come finzione legale –
quaedamimaginariavenditio, una sorta di vendita immaginaria, fittizia – diretta
alla loro emancipazione) vendendoli come servi o con la loro uccisione
che è ora considerata delitto gravissimo. Prima ancora che Costantino equipari
il parricidio all’ omicidio del figlio, già l’imperatore Adriano
condannava alla deportazione un padre che aveva ucciso un figlio che lo aveva
disonorato seducendolo la sua seconda moglie. Così Traiano costringe un
padre alla emancipazione immediata del figlio che aveva semplicemente
maltrattato e lo obbliga a rinunciare a ogni eventuale diritto di successione
in caso di morte del figlio.
La mancipatio tuttavia era ancora una
punizione abbastanza grave se si considera che con questa “vendita fittizia” il
figlio liberato si trovava escluso da ogni rapporto con la famiglia di origine
e alla perdita di ogni diritto ereditario che la legislazione dell’inizio del
principato modifico invece in senso favorevole al figlio emancipato che era ora
riconosciuto come detentore di beni propri
( bonorumpossessio) e di diritti ereditari.
INDULGENZA PATERNA E FIGLI DEGENERI
Valentiniano III, con
la madre Galla Placidia e la sorella Giusta Grata Onoria. Brescia,
Museo di Santa Giulia
La dura autorità del pater familiassi è nel
III secolo trasformata: <<patria
potestas in pietatedebet, non in atrocitate consistere>>
Il potere del pater verrà ricondotto infine
nel V secolo ad un semplice diritto di correzione (ius corrigendi), che non
potrà mai arrivare a punizioni di particolare severità. Per le colpe del figlio
ritenute più gravi si dovrà ricorrere all’ intervento del giudice:
<<propinquissenioribuslegepermittiturerroremvelculpamadolescentiumpropinquorum
patria districtionecorrigere, id est ut si verbisvelverecundiaemendari non
possint, privata districtioneverberibuscorrigantur.nQuod si gravior culpa
fueritadolescentis, quaeprivatimemendari non possit, in notitiamiudicisdeferatur.>>
<< Ai parenti prossimi per legge è
permesso corregere la mancanza o la colpa degli adolescenti con severità
paterna, cioè se con le parole o con il timore non sia possibile punire, siano
corretti con il rigore familiare e con sferzate, mentre se dell’ adolescente è
commessa una colpa più grave, che non sia possibile correggere privatamente,
sia portato alla conoscenza del giudice. >>
L’ educazione dei figlio che nell’ epoca repubblicana
era compito del padre così come si vantava di averla praticata Catone il
Censore ( 234a.C. circa – 149 a.C. ) insegnando ai propri figli a leggere e
scrivere, a nuotare e combattere. Nell’ età imperiale diventa sempre meno
rigida e severa: veniva in genere affidata alla madre che guidava i figli
seguendoli almeno fino a quando questi non arrivassero all’ età della
fanciullezza. Non appena i figli acquistavano una certa autonomia, le madri,
che godessero di una certa ricchezza, gli affidavano a caro prezzo a un padagogo
famoso. Le povere, invece, mandavano i loro figlioli in una di quelle scuole
private che abbandonavano a Roma verso la fine del II secoloa. C.
Plinio il Giovane
considerava funesta per i severi coatumi romani l’ abitudine delle madri di
disinteressarsi nell’ educazione dei loro figlioli proprio quando i giovani
avevano più bisogno di una guida: egli riteneva che questo comportamento delle
donne romane avrebbe accresciuto il loro vivere oziosamente rischiando così che
alcune di loro passasse dalla noia alla dissolutezza. Lo stesso Plinio d’ altra
parte invitava i genitori all’ indulgenza nei confronti dei figli ma accadde
che i romani esagerarono nell’
attenuare la loro severità fino a rinunciare << a dirigere i loro
figli>> cosicché <<si lasciarono dirigere da loro>> come
racconta con grande disappunto Marziale che ci documenta esempi di figli
oziosi e dissipatori del patrimonio patern. Fin dal II secolo la dura potestas
del pater familias è un lontano ricordo mentre frequentemente appaiono nella
società romana nell’impero figli di famiglia viziati dal lusso che vivono senza
più alcuna disciplina.
L’individualismo
dilagante a danno dell’ antica solidarietà causò la dissoluzione della patria protestas che portò alla fine alla
dissoluzione della stessa famiglia romana.
La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come societa’
naturale fondata sul matrimonio.Il matrimonio e’ ordinato sull’eguaglianza
morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia
dell’unita’ familiare.
La Costituzione riconosce e assicura una
particolare tutela giuridica alla famiglia. Innanzitutto la concepisce come una
delle più importanti formazioni sociali intermedie, nelle quali si realizza la personalità
umana. Questo significa che la famiglia, in linea di principio, non può essere
indirizzata in modo autoritario, dallo stato,al perseguimento di finalità
dettate dall’alto( come fece invece il regime fascista); essa al contrario ha
un’ ampia autonomia, che si concreta nel diritto di determinare da sé il
proprio modo di essere e di vivere, i propri fini e le vie per raggiungerli.
La Costituzione definisce la famiglia come
una società naturale: significa che, in linea di principio, il diritto considera
“ famiglia” ciò che comunemente nella società è considerato come “ famiglia”,
vale a dire i gruppi sociali descritti nel paragrafo precedente.
All’interno della famiglia vi sono due
diverse categorie di rapporti sociali e giuridici: quello fra i componenti
della coppia e quello fra genitori e figli. La Costituzione detta principi
diversi per regolarli.
a. Per
quanto riguarda i rapporti di coppia, la famiglia è fondata sul matrimonio ed è
governata dal principio di eguaglianza fra marito e moglie: le limitazioni
all’eguaglianza sono ammesse soltanto se servono a garantirle l’unità
familiare.
L’indicazione secondo la quale la famiglia è
fondata sul matrimonio- contenuta nell’articolo 29 della Costituzione e quindi
riguardante soltanto la coppia e non i figli – è stata oggetto di diverse
interpretazioni: oggi si ritiene ch’essa imponga al legislatore soltanto di
assicurare alla coppia sposata determinante forme di tutela, ma che lo lasci
libero di attribuire forme di tutela più o meno simili anche alla coppia non
sposata. Infatti, per esempio, gran parte delle regole sulla protezione sociale
della famiglia, sia nell’accesso ai servizi pubblici sia per intervento dei
servizi sociali, tratta allo stesso modo le coppie sposate e le coppie non
sposate, e dunque prescinde dal matrimonio.
b. Per
quanto riguarda i rapporti fra genitori e figli, la Costituzione stabilisce il
principio di eguaglianza tra i figli legittimi( nati da una coppia sposata) e i
figli naturali( nati da una coppia non sposata), sia per quanto riguarda il
diritto di essere mantenuti, educati e istruiti, sia per quanto riguarda i
diritti patrimoniali ed ereditari.
Unico
limite è l’esigenza di non violare i diritti dei membri della famiglia
legittima, cioè degli altri parenti.
LA RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA
i principi degli articolo 29 e 30 della
Costituzione contengono gli elementi essenziali ai quali le leggi si devono
ispirare nella regolazione dei rapporti familiari: questi principi rimasero in
gran parte inattuati nella legge ordinaria per quasi trent’anni: nonostante
l’entrata in vigore della Costituzione, il diritto di famiglia continuò a
essere quello del 1942, ispirato ai tradizionali, e ben diversi, principi
ottocenteschi dell’autorità del marito e della forte discriminazione verso i figli
naturali.
Soltanto tra la fine degli anni sessanta e
l’inizio degli anni settanta il diritto di famiglia venne riformato: oltre a
dare una compiuta realizzazione al principio di eguaglianza, sia tra i coniugi
sia tra figli legittimi e figli naturali, la riforma rafforzò la tutela della
spontaneità e della consapevolezza delle singole persone nel costruire e
mantenere i legami familiari: soprattutto significativi furono l’introduzione
del divorzio, l’ammissione della separazione coniugale indipendentemente dalla
colpa e l’innalzamento dell’età minima per sposarsi.
I RAPPORTI TRA GENITORI E FIGLI
I rapporti tra i genitori e figli legittimi
sono quasi identici ai rapporti tra i genitori e i figli naturali. La
differenza di maggiore rilievo è costituita da una parte della disciplina del
cognome: i figli legittimi e i figli naturali riconosciuti contemporaneamente
da entrambi i genitori assumono il suo cognome del padre; i figli naturali
riconosciuti da un solo genitore assumono il suo cognome; se successivamente
interviene il secondo riconoscimento, la scelta del cognome spetta al figlio, se maggiorenne, o al giudice.
I figli minorenni sono soggetti alla potestà
dei genitori: si tratta di un insieme di poteri e di doveri,che devono essere
esercitati esclusivamente per il bene e l’interesse dei figli stessi. Se si
tratta di figli legittimi, o di figli naturali riconosciuti da entrambi, la
potestà è esercitata di comune accordo tra i genitori; in mancanza di accordo,
è possibile un intervento del giudice.
Se i genitori, sposati o no, si sono
separati,la potestà di regola è esercitata da entrambi,
come se fossero ancora conviventi; tuttavia il luogo di residenza stabile è
deciso dal giudice. Se però i figli sono stati affidati a uno solo di essi, la
potestà è esercitata esclusivamente dall’affidatario; in questo caso l’altro
genitore ha il potere e dovere di sorvegliare sull’educazione dei figli e di
collaborare a prendere le decisioni più
importanti per la loro vita.
Se si
tratta di figli naturali riconosciuti da un solo genitore, la potestà è
esercitata in via esclusiva da questo.
I genitori hanno il dovere di mantenere, educare e
istruire i figli( legittimi, naturali o adottivi che siano), rispettando la
loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni; i genitori sono tenuti a
svolgere questa attività in collaborazione fra loro sopportarne il peso
economico in proporzioni delle rispettive ricchezze e redditi.
I genitori esercenti la potestà sono i
rappresentanti legali dei figli minorenni, cioè compaiono gli atti giuridici in
loro nome e per loro conto, poiché i figli minorenni sono incapaci di agire.
La gestione dell’eventuale patrimonio
personale del figlio minorenne è affidata ai genitori. Questi hanno l’usufrutto
legale su tale patrimonio; possono compiere senza alcun controllo gli atti di
ordinaria amministrazione; possono compiere anche atti di straordinarietà
amministrazione, ma in questo caso devono ottenere l’autorizzazione del
giudice( il giudice tutelare o il tribunale ordinario, secondo i casi), volta
allo scopo di tutelare gli interessi del minorenne.
Come già detto, i genitori non sono liberi di
esercitare la potestà come vogliono, ma devo comportarsi in modo tale da
garantire al meglio il bene e l’interesse del figlio minorenne. L’autorità
giudiziaria ha il compito di intervenire ogni volta in cui il loro comportamento
appaia pregiudizievole per il figlio, vale a dire ogni volta in cui un genitore
trascuri i propri doveri, o tenga comportamenti che possono produrre un danno
al figlio. Il tribunale per i minorenni ha il compito di adottare i
provvedimenti che ritiene più opportuni per il bene e l’interesse del figlio.
Il
provvedimento più grave consiste nella decadenza del genitore dalla potestà,
che resta allora esercitata in via esclusiva dall’altro, accompagnata
dall’allontanamento dalla residenza familiare del figlio o, viceversa, del
genitore. In caso di decadenza di entrambi i genitori, il minorenne può essere
dichiarato adottabile: ritorneremo sul punto nel paragrafo successivo. in ogni
caso deve essergli nominato un tutore, che né è il rappresentante legale e ne
cura la persona e gli interessi.
Altri provvedimenti meno drastici sono quei “provvedimenti convenienti” presi secondo
l’art.333 dal tribunale per i minorenni: nei casi meno gravi possono consistere
in limiti all’esercizio della potestà o in ordine impartiti ai genitori, come
per esempio quello di non impedire i rapporti dei figli con i loro nonni,
mentre nei casi più gravi possono arrivare fino all’allontanamento dalla
residenza familiare del figlio o, viceversa, del genitore.
In
questa attività del giudice ha un’importanza essenziale la collaborazione dei
servizi sociali professionali. Essi hanno il compito di segnalare al pubblico
ministero presso il tribunale per i minorenni le situazioni di difficoltà
familiare o personale in cui si trova un minore, di svolgere indagini
psicologiche e sociali su richiesta dal giudice, di seguire l’attuazione dei
provvedimenti del giudice.
IST.TEC.ECONOMICO DE FELICE GIUFFRIDA
-CATANIA
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